Skip to content

C’era una volta un castello, anzi di più

    C’era una volta, tanto, ma tanto tempo fa un castello posto in un pianoro sulle colline, no, mi sbaglio c’era più di un castello dove oggi ci sono olivi, pascoli o grano.

    Non è l’inizio di una favola ma il risultato dell’estrapolazione di dati da documenti ispettivi di epoca normanna.

    Partiamo dall’inizio, la regione silariana viene inglobata nelle terre conquistate dai longobardi del Ducato di Benevento ma i territori non forniscono ancora una tranquillità tale da permettere a aldii e servi di gestire in modo adeguato il lavoro nei campi e l’artigianato.

    Era interesse del Duca che il territorio fosse posto in sicurezza, da esso dipendeva l’erario e la ricchezza del dominio, bisognava ad ogni costo permettere che le attività manuali dei propri sudditi si svolgessero in relativa tranquillità.

    I problemi provenivano dalle pretese bizantine di riprendersi il territorio da cui erano stati brutalmente estromessi e dalle incursioni piratesche dei saraceni che con le loro veloci navi incrociavano le coste tirreniche.

    Castelluccio sulla Serra di Scorzo

    Vennero inviati vari contingenti di arimanni nei luoghi maggiormente a rischio, alcuni composti da pochi uomini, altri invece più consistenti, una volta giunti nei luoghi di acquartieramento eressero degli accampamenti che col passar dei giorni si circondarono dapprima con palizzate fortificate e poi, sasso dopo sasso, in robuste mura perimetrali e spesse torri armate idonee a supportare gli assalti di schiere di predoni non sufficientemente armate e motivate per conquistare un castelletto.

    [wpedon id=”8864″ align=”left”]A parte queste disquisizioni, si legge in un documento del 1164 sulla ricognizione dei possedimenti della Chiesa salernitana individuata negli archivi cassinensi nel 1942 che, sulle colline alle spalle dei castelli di Battipaglia e Eboli c’erano strutture fortificate identificate come castellum dirutum, praticamente castelli già in rovina, in corrispondenza dei villaggi di Monte, San Donato, Santa Tecchia, Pancia e Furiano.

    Ovviamente se a quella data le fortificazioni erano in rovina a quel tempo, a distanza di novecento anni, niente resta della loro dimensione o forma, però possiamo dedurre le loro fattezze in base alle caratteristiche tipiche dei fortilizi longobardi del periodo.

    Una struttura similare è individuata in rovina sulla cima della solitaria collina denominata Serra di Scorzo all’imbocco delle Nares Lucaniae.

    La forma generalmente era quadrangolare con una torre denominata Donjon (o Mastio come venne poi chiamato in epoca più tarda) posta nell’angolo più elevato e generalmente costituito da almeno tre livelli e da un recinto fortificato alto tra i 4 e i 6 metri che conteneva alloggiamenti e stalle e seguiva l’andamento del terreno.

    Se il fortilizio era posto su un rialzo del terreno o su uno sperone di roccia non necessitava di ulteriori dispositivi difensivi, diverso era l’allestimento se posizionato su un terreno pianeggiante, in questo caso le mura si alzavano da un ripido terrapieno costruito usando il materiale di scavo del fossato in modo che circondasse l’intera struttura a cui si accedeva per mezzo di un ponte levatoio.

    Il portone d’accesso era piuttosto piccolo, tale da permette l’entrata di un piccolo carro e, contrariamente a quanto si vede nella filmografia, nessun cavaliere poteva accedervi sulla sella del destriero pena di beccarsi una sonora testata al portale.

    Le guarnigioni contavano pochi uomini ed erano comandate da un Provisor Castri, oggi diremmo un sottufficiale scelto tra gli arimanni con maggiore esperienza, solo nelle strutture più grandi era possibile trovare sculdasci o gastaldi membri del Comitates capeggiato dal Comite il quale riferiva al Duca.

    Il compito delle guarnigioni, oltre che garantire la difesa del territorio, era quello di mantenere l’ordine e esigere le gabelle e i dazi che venivano inviate alla sede del Comite per poi essere incamerate nel tesoro ducale.

    La costruzione del castelletto, l’armamento e il vettovagliamento gravava sulla testa della popolazione del luogo che si trasformava all’occasione in forza di difesa mancando un vero e proprio sistema di arruolamento usando come armi aste, bastoni, asce e attrezzi agricoli.

    Quando le minacce iniziarono a scemare i presidi vennero gradualmente abbandonati, alcuni vennero trasformati in fattorie cambiando totalmente aspetto, altri lasciati degradare fino al completo dirupamento delle mura.

    Il territorio delle colline non venne però abbandonato, i contadini continuarono a gestirlo come i documenti episcopali riportano lasciando le intenzioni difensive alle guarnigioni che restavano (Olibani, Nebula, Eboli).

    In tutta onestà a me verrebbe da chiedere:

    ma nascondere la storia delle nostre genti a chi giova?

    / 5
    Grazie per aver votato!

    Lascia un commento

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

    Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

    error: Content is protected !!