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Il centurione e l’orso

    Tempo fa, un centurione delle ultime legioni romane al suo ritiro dalla vita militare ebbe in premio un grande appezzamento di terreno nei pressi delle Nares Lucaniae, lungo la via Regio-Capuam.

    In quel luogo diede vita ad una villa a un miglio circa dalla stazione di posta, costruì la sua residenza e gli alloggi per i suoi dipendenti e intraprese l’attività di proprietario terriero, coltivava ulivi, castagni viti, grano e impiantò tanti alberi da frutta.

    Nonostante gli impegni non disdegnava di praticare un’attività che gli permetteva di cavalcare lontano dalle fatiche lavorative: la caccia.

    Appena a sud delle sue terre si ergeva una grossa montagna ricca di boschi e selvaggina, lepri, cervi, cinghiali, volpi, volatili di tante specie, un paradiso per gli amanti della caccia.

    Amava tirare con l’arco, ma, con la presenza di orsi nell’area, era anche solito caricare i plantigradi con la picca nella speranza che uno di questi non lo facesse disarcionare e non lo dilaniasse.

    Una folta muta di cani e pochi servitori erano la sua compagnia durante queste battute di caccia, a volte gli duravano per giorni il che gli permetteva di rivivere il tempo della legione, quando per dormire si riparava all’ombra di qualche grosso albero o in un’anfratto di roccia.

    Anche quella volta era partito dalla villa per la consueta battuta di caccia, era di primavera e le nevi da poco si erano sciolte sulle pendici della montagna, la sera precedente aveva preparato con la solita cura l’equipaggiamento, il gladio e la daga lucide e affilate, l’arco britanno con le frecce che lui stesso preparava col legno di nocciolo, leggere e precise, e la picca, l’arma che lui preferiva, che gli permetteva di sentirsi invincibile.Si sentiva potente, invincibile ma la sua vita aveva iniziato la fase discendente, non aveva più il vigore che gli aveva permesso di diventare primus pilus, i capelli aveva gia da un po’ iniziato a tingersi dell’argento della terza età.

    Era partito poco prima dell’alba con la solita compagnia di servi, l’aria frizzante gli faceva spalancare le narici, nell’aria il profumo del bosco che gli imprimeva una strana euforia.

    A due miglia dalla villa intravede tra gli alberi la sagoma scura di un orso, imbraccia la picca e sprona il cavallo, l’orso lo sente arrivare e comincia a fuggire alla disperata ricerca della salvezza.

    Una lunga corsa e l’animale si ritrova su un costone di roccia, davanti a lui un baratro, dietro il vecchio soldato pronto a infilzarlo, non gli resta che battersi, almeno così ha qualche possibilità di salvarsi, si alza sulle zampe posteriori, è enorme, un maschio solitario che vaga nei boschi, vincitore di mille scontri con altri della sua specie, ha già conosciuto l’uomo, ha visto morire altri suoi simili, ha visto morire altri animali mentre si teneva alla larga da quell’essere, questa volta no, non aveva scelta, doveva giocare il tutto per tutto per sopravvivere a quella bestia.

    Il terreno è roccioso, brullo, il vecchio legionario lancia il cavallo alla carica mentre punta la picca ma, nell’ultimo istante il destriero ha uno scarto per via di una pietra smossa, la picca colpisce sì l’orso ma penetra nella spalla ferendolo e si spezza.

    Un feroce urlo di dolore si spande per la montagna, l’animale ferito ora è accecato dalla rabbia, la picca è rotta quindi inservibile, il cavaliere è stato disarcionato dal cavallo ferito anch’esso alla gamba, la situazione è diventata seria.

    Sono uno di fronte all’altro, il vecchio soldato e il grande orso ferito, ora le sorti dello scontro sembrano volgersi a favore del plantigrado, al centurione non resta che pregare, ma a chi rivolgere la supplica? Lui è un pagano, adora gli dei dell’Olimpo ma sa che tanti suoi servitori si rivolgono ad un nuovo dio che era morto sulla croce, i suoi dei sapeva bene che non potevano aiutarlo, più volte li aveva inutilmente invocati e scelse questa volta di invocare il Dio dei cristiani, ultima speme per la salvezza.

    Negli attimi precedenti l’attacco dell’orso pose la sua anima nelle mani del Dio della croce, gli promise la conversione e la costruzione di un altare in quello stesso luogo.

    Questa volta le preghiere giunsero al destinatario, fu il caso o un miracolo, una saetta colpì l’unico albero che cresceva sul costone che prese immediatamente fuoco, il fenomeno spaventò l’orso che zoppicando e urlando entrò nel bosco scomparendo alla vista del legionario.

    Come promesso un altare cristiano venne eretto sui resti carbonizzati dell’albero e davanti a questo il vecchio centurione con tutta la sua famiglia e i servi ricevette il battesimo, quel suo feudo divenne rifugio per i cristiani della zona e la sua villa divenne sempre più ampia.

    Tempo dopo sul luogo dell’altare venne edificata una chiesa che si volle dedicare a San Matteo Apostolo e a pochi metri da questa s’innalzò un forte maniero normanno, il luogo in onore del centurione assunse il nome di Sicignano, terra di Sicinio.

    Oggi della chiesa di San Matteo non resta che un troncone di campanile essendo diroccata in seguito ad un terremoto, il maniero invece è ancora li, muto testimone di una leggenda, questa che mi hanno raccontato anni fa e che ora vi ho narrato, e di una storia millenaria che nessuno vi ha mai scritto.

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