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Longobardi

    Vi racconto una storia che a scuola difficilmente ascolterete o studierete.

    Nell’anno 476 il condottiero di origine germanica Odoacre depone l’ultimo imperatore romano d’occidente, Romolo Augustolo, e assume il controllo di quella fetta di territorio dell’antico impero chiamato Italia ponendosi sul capo la corona regale.

    Da quella data si avvicendarono sul suolo italico svariate invasioni di popoli barbarici che già da tempo premevano ai confini dell’impero, Goti, Vandali, Unni, ed altre tribù posero a ferro e fuoco le fertili terre della penisola, il numero degli abitanti si ridusse notevolmente e, considerando la mancanza di sicurezza, anche l’agricoltura subì un tracollo.

    Non si ammiravano più grandi distese di grano o orticoli, le viti e i frutteti si inselvatichivano, i pochi armenti sopravvissuti erano gelosamente custoditi in luoghi remoti.

    La situazione economica della penisola era ormai allo stremo quando infine giunse un’ulteriore popolo invasore che, come tanti altri, era penetrato oltre la cortina alpina, erano i Longobardi.

    Questa tribù, attratta dalla prospettiva di un facile successo dilaga nella pianura padana nel 568 ma, a differenza delle precedenti invasioni, invece di saccheggiare e abbandonare i luoghi li occupa e li domina.

    Conquista la città di Pavia e, abbagliati dalla maestosità del luogo, la elevano a loro capitale, nominano un re, Alboino mentre i suoi luogotenenti furono nominati duchi ai quali vennero affidati in amministrazione vasti territori.

    In poco tempo i ducati si estesero per quasi tutta la penisola giungendo fino in Bruzia, così era chiamata la Calabria a quei tempi.

    Nell’Italia centrale divenne Spoleto la sede di un potente ducato mentre in quella meridionale fu Benevento la sede dell’amministrazione ducale e venne affidata a Zottone.

    I ducati si ressero in maniera pressochè autonoma fino al 774 quando Carlo Magno, re di un’altra tribù insediata in Francia, non si eresse a protettore del Soglio Pontificio e discese in Italia sbaragliando gli eserciti longobardi decretando la fine della Longobardia.

    L’unico ducato a restare in piedi fu quello di Benevento governato da Arechi II che fingendosi “vassallo” del re dei Franchi, mantenne la corona sulla testa e la testa sul collo.

    In linea di massima questa è la storia della penisola italiana dalla caduta dell’impero romano fino alle soglie dell’anno 800 e qui inizia un’altra storia che maggiormente mi appartiene e mi affascina, quella della Opulenta Salerno.

    Arechi per proteggersi dall’invasione franca si rifugia nelle nura della più difendibile città costiera ove era presente anche un porto per un’estrema via di fuga.

    Scongiurala la minaccia di carolingia, decise di non rientrare nella capitale ma restò a Salerno per molteplici ragioni, ma la principale a mio avviso è quella che il duca restò affascinato dalla dolcezza del clima e dalla bellezza del luogo.

    Salerno a quel tempo si sviluppava sulle pendici del colle Bonadies sul cui vertice era collocata la Turris Maior da cui partivano due lunghi muri fin quasi alla spiaggia mentre il porto era posizionato ad ovest, a ridosso dell’arenile di Santa Teresa (la posizione è rimasta invariata nel corso del tempo anche se per un lungo periodo i pontili erano caduti in disuso).

    Non tutta l’area all’interno delle mura era occupata da edifici, anzi, vi erano appezzamenti di terreno coltivati e molti orti che la rendevano quasi autosufficiente a livello alimentare.

    La città di Salerno, fin dalla sua istituzione a colonia romana si era sviluppata nella sola area descritta in modo da farla definire città triangolare e tale rimarrà per altri secoli ancora, non aveva ancora subito serie minacce esterne o impulsi architettonici particolari ma con l’arrivo del duca vide potenziare la sua già imponente cinta muraria mentre i suoi palazzi iniziarono ad abbellirsi, insomma Arechi operò una seconda fondazione della città utilizzando i canoni dell’architettura del periodo.

    Quando i longobardi giunsero in Campania erano già alla seconda o terza generazione, avevano abbracciato la fede cristiana (anche se si erano associati all’eresia ariana) rinnegando gli antichi dei e, abbandonando le vecchie abitudini, avevano assimilato la cultura latina elevandosi essi stessi a difensori dell’antico ordine romano in contrapposizione con l’impero di Bisanzio e al Sacro Romano Impero creato dai carolingi.

    Del loro carattere restava però l’indole guerriera che gli fu fatale perché in capo a qualche secolo li portò alla distruzione del proprio dominio dopo un periodo di lotte intestine.

    A loro favore però resta la capacità di aver governato i territori discretamente favorendo il ritorno dei contadini alla terra e quindi di un aumento demografico dei territori, nascono vari villaggi specialmente a ridosso delle colline davanti a grandi estensioni di terreno fertile.

    Solo in seguito molti villaggi e cittadine si munirono di recinzioni palizzate per proteggersi dalle incursioni saracene, vennero eretti vari presidi armati sul territorio realizzati dagli stessi abitanti ma armati dai principi di Benevento dapprima e Salerno in seguito.

    Il ducato intanto si era scisso in tre unità distinte, due governate da principi (Benevento e Salerno), uno da un duca (Capua) e spesso in lotta tra di loro o con i ducati bizantini (Napoli e Amalfi ad esempio).

    Ebbero tutti la malsana idea di chiudere alleanze con i saraceni che le usavano per far scorrerie o rapimenti per schiavizzare nei territori.

    Salerno subisce vari assedi, ma mai le sue mura furono scavalcate dagli agareni, anche l’ultimo assedio alla gens longobarda non la vide cadere se non con l’apertura delle porta da parte della popolazione, e parlo in questo caso dell’arrivo di Roberto il Guiscardo, il normanno che unificò il meridione.

    Salerno era diventata la più bella e ambita città d’Europa, i fasti della sua corte e la fama della sua scuola medica avevano superato i confini del continente, i rudi uomini del nord dalla lunga barba erano diventati eleganti signori dai modi cortesi, le donne erano leggiadre ma anche indomite, spesso al fianco dei loro consorti a decidere le sorti di una battaglia brandendo spade e vestendosi anche di armature.

    Eppure bastarono pochi cavalieri normanni a decretarne la caduta, il germe della decadenza si era ormai appropriato del loro carattere, la causa: la mancanza di unità.

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