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Tratuola e i discendenti palesi

    Romolo e Remo, Partenope, Didone, Palinuro sono solo alcuni dei nomi che la mitologia ricorda per giustificare la fondazione di città, uomini e divinità minori discese in terra che avrebbero fondato, o permesso la fondazione, di antichi insediamenti umani.

    Non sono che pochi i miti ricordati e universalmente riconosciuti, ma innumerevoli altri restano nell’ombra finchè non vengono riletti, magari a volte solo per gioco come nel caso che mi accingo a proporvi.

    Il mito che segue ha origine, almeno a dire dai documenti, 3278 anni dopo la creazione del mondo e 1622 dopo il Diluvio Universale (se vogliamo datare secondo i calcoli di Eusebio di Cesarea dovrebbe essere intorno al 1921 A.C.).

    Un condottiero chiamato Tratuolo edifica una città nei pressi del Fiume Negro a poca distanza dal Fiume Sele, gli impose il suo nome e ne affidò il governo a Sicolo, uno dei suoi generali, prima di marciare alla volta della Sicilia dove edificò sia Reggio che Messina.

    Tratuolo dopo la fondazione della città siciliana visse altri 8 anni sull’isola e alla sua morte su Siculo che assunse il controllo del suo regno ponendo in Tratuola la capitale.

    La città aveva un perimetro di circa un miglio e mezzo (circa tre chilometri) e sul lato levantino un lago ne addolciva la bellezza.

    La Sicilia inizialmente non volle riconoscere Sicolo che invece era amato sul continente ed elesse re Peloro, Sicolo intervenne per sedare la rivolta e una volta ucciso Peloro impose che l’isola assumesse il nome di Sicilia (Diodorus Fazellus, e Menippo, appresso Cortaldo – Placido Carrafa).

    La città di Tratuola quindi era sul bordo di una conca in una zona facilmente raggiungibile da varie direttrici di traffico e facilmente difendibile anche da attacchi esterni.

    Il lago su cui affacciava forniva due tipi di pesce, le tinche di una varietà bianca e le sarde che i cittadini usavano salare con la stessa procedura di quelle marine.

    Dopo cinque secoli di vita la città, governata dai successori di Sicolo, il tiranno di Siracusa Agatocle investì il regno di Tratuola, distrusse i vari presidi e attaccò la città, l’assedio fu vano e il tiranno tornò in Sicilia per affrontare i cartaginesi che occupavano l’altra metà dell’isola.

    Regnava allora su Tratuola Sicano, discendente del secondo re della città, egli aveva due figli, Eculano Laconiano e Polo.

    Sicano, a differenza dell’antenato questo re prese l’abitudine di praticare l’antesignano dello “Jus prime noctis” a meno di pagare una forte somma a compenso, la scelleratezza del re non era altro che uno specchio di quella che era diventata la civiltà Tratuoliana, degenerata come la biblica Sodoma, e, come la precedente anche Trautola subì la collera divina.

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    Mentre per Sodoma Dio era pienamente convinto di punirla per Tratuola inviò dei suoi messi in forma umana per ammonirla, al netto rifiuto della popolazione unì le forze immense del cielo e della terra, un forte terremoto prima e una contemporanea bomba d’acqua dal cielo investì la città e i suoi casali con un’inondazione dalla parte della Valle di Raio, al termine dell’evento il lago che fiancheggiava la città era più che raddoppiato e di Trautola non v’era più traccia.

    Mentre questo accadeva alla città i figli di Sicolo erano in armi in qualità di alleati della città di Conza che saputo l’evento li accolse come suoi figli.

    Laconiano, il maggiore dei fratelli dopo un po’ pose le fondamenta della città di Colliano mentre l’altro tornò sulle rive del lago e sulla collina prospiciente eresse la la città di Polo, quella che oggi è chiamata Palomonte.

    Del lago oggi non vi è più traccia in quanto prosciugato e l’invaso e stato riempito di materiale e di Trautola ormai le tracce sono solo nel mito.

    Che sia storia o leggenda non ci è dato saperlo, di certo si sa che l’area appenninica intorno a Palomonte contiene tracce di insediamenti antichi che partono dal Neolitico mentre è sicura la presenza nell’età del bronzo di popolazioni guerriere sempre antagoniste di quelle costiere e che solo dopo tre lunghe e sanguinose guerre i romani riuscirono a domare.

    Queste poche righe non sono che un sunto di parte di un’opera di G.B. Carlucci che scrisse nel 1681 e che, come ovvio, è assunto col beneficio del dubbio.

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