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Un montecorvinese in Cina

    Quando la famiglia Polo tornò dal Katai non poteva di certo immaginare di aver aperto la strada alla cristianizzazione, o almeno al tentativo, dell’impero mongolo. Nel 1269 Matteo e Niccolò Polo ritornarono dal loro viaggio nel paese orientale portando con loro una missiva del Gran Kan Kubilai che richiedeva al papa (Nicolò IV) l’invio di missionari.

    L’invito venne raccolto dal pontefice e nel 1288 diede incarico a un francescano dell’ordine dei minori di recarsi in Oriente, Fra Giovanni da Montecorvino.

    Il frate era nato nel 1247 a Montecorvino Rovella nel Principato Citra ed entrò nell’ordine monastico dopo aver goduto delle delizie della vita mondana e come d’uso per i frati minori del tempo si occupava della conversione degli infedeli.

    Nel segno dell’obbedienza quindi Fra Giovanni, con in bisaccia delle missive del papa, s’avviò dapprima in Armenia e poi alla corte del Khan Argun che regnava sulla Persia per consegnargli una lettera pontificia, si fermò a Tauris per qualche tempo per proseguire poi per l’India dove conobbe Pietro di Lucalongo, mercante genovese, e di Nicola da Pistoia, religioso dei frati predicatori che morì a breve.

    Fra Giovanni battezzò in India un centinaio di nuovi adepti e poi in compagnia di Pietro raggiunse la meta dei suoi viaggi, il Katai.

    Consegnò personalmente la missiva del papa al Gran Khan Kubilai che invitava il potente sovrano a convertirsi al cristianesimo, ma il principe, di idee aperte, rifiutò graziosamente l’invito ma permise al francescano la predicazione libera nel regno in parallelo con i nestoriani che cercarono in ogni modo di contrastare l’operato del frate.

    Più volte Giovanni da Montecorvino ebbe infatti da parte dei cristiani siriani aperte persecuzioni che riuscì a smentire alla presenza dell’imperatore.

    Restò unico predicatore della Chiesa di Roma per undici anni quando venne raggiunto da Arnoldo, un confratello di Colonia, nel frattempo costruì una chiesa nella capitale Khan-Balikh (Cambaluc o città reale) con un campanile sul quale v’erano tre campane con le quali chiamava a raccolta i neofiti per i Sacri Uffizi, condusse a fonte battesimale circa seimila persone e inoltre istruì molti giovani e fanciulli alle pratiche chiericali per le celebrazioni.

    Tra i suoi convertiti vi fu anche il principe keraita a cui “impose” il nome di Giorgio e molti dei suoi vassalli.

    Alla morte di Giorgio però molti furono sedotti dalle dottrine nestoriane a cui Giovanni non potè opporsi perchè trattenuto dal Gran Khan lasciando in lui un profondo senso di applizione.

    Nel 1305 scrisse una lettera con data 8 gennaio ai confratelli del suo ordine con la preghiera per l’invio di frati per aiutarlo nella missione oltre alla richiesta di volumi sacri.

    Questa lettera annunciava inoltre che fra Giovanni aveva imparato la lingua tartarica (Wadding – Annal.minor. Tom.VI pag. 69) e che aveva tradotto in questa lingua sia il Nuovo Testamento che i Salmi che fece ricopiare con i caratteri propri di questa lingua in modo accurato per diffonderlo nelle terre governate dal Khan.

    La lettera descriveva inoltre gli onori che riceveva come inviato della Santa Sede e dell’autorizzazione alla costruzione di una seconda chiesa a poca distanza dal palazzo imperiale.

    Sulla conversione dei Keraiti concordano le relazioni dei mussulmani presenti nella regione che narrano la presenza di molti cristiani e citano molte principesse di quella nazione che professavano la fede in Cristo, altre affermazioni sull’operato del frate vengono da altre sette religiose come quelle dei Samanci indiani o dai Lama tibetani.

    La sua forte azione evangelica gli fu premiata con l’istituzione della sede arcivescovile di Khan-Balikh da parte del Papa Clemente V nel 1308, Giovanni da Montecorvino ottenne altresì il diritto per se e i suoi successori di erigere sedi, consacrare vescovi, preti e chierici oltre alla possibilità di costruire nuove chiese alle sole condizioni di riconoscersi sottomessi alla sede romana e di ricevere il pallio direttamente dal pontefice.

    Il decreto conteneva inoltre la raccomandazione affinchè nelle chiese fossero dipinti i Misteri dell’Antico e del Nuovo Testamento affinchè i popoli barbari fossero attratti al culto del vero Dio.

    Una seconda lettera di Giovanni di Montecorvino affermava di aver fatto intagliare delle iscrizioni in caratteri latini, tarsici e persiani affinchè tutti potessero leggerle

    Giovanni di Montecorvino morì intorno al 1330 e gli succedette nella missione un francescano di nome Nicola che a causa di una malattia non poteva seguire i fedeli, a causa di questa situazione la sede arcivescovile venne abbandonata nel 1338.

    La città di Khan-Balikh che in lingua mongola significa residenza reale viene identificata con Yan-King, l’antico nome della città di Pechino, attuale capitale della Repubblica Popolare di Cina.

    Le notizie di fra Giovanni da Montecorvino sono tratte dal Dizionario Universale delle Scienze Ecclesiastiche di Charles Luis Richard e Jean Joseph Giraud edito nel 1835, si sarebbe potuto attingere a fonti più recenti ma ho preferito usare questa per l’accurata attendibilità della fonte, chiaramente, non essendo uno studioso di tale materia potrei incorrere in inesattezze ma l’importanza della presenza di fra Giovanni in Cina a cavallo tra il XIII e il XIV secolo è una tappa importante della storia dei cittadini del Regno di Napoli, egli portò ben oltre i confini del regno il messaggio cristiano e grazie alla visione illuminata dell’imperatore diede lustro alla sua terra e alla sua Fede.

    Giovanni da Montecorvino è stato dichiarato Beato dalla Chiesa Cattolica e in Cina è celebrato sugli altari con immenso onore.

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    1 thought on “Un montecorvinese in Cina”

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