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Cintura difensiva longobarda

    Il Principato di Salerno fu, nell’alto medioevo, una delle strutture statali feudali meglio organizzate dell’intero continente Europeo anche se in un perenne stato di guerra a causa dei conflitti con le vicine Benevento, Amalfi e Napoli e la vassalla Capua, inoltre a complicare il tutto s’impegnava di gran lena Bisanzio che non accettò mai la perdita dei territori italiani e dei mercenari saraceni che portarono più lutti che benefici ai loro assoldatari.

    Salerno costituì un forte esercito mobile che impiegava nei vari teatri di guerra mentre per presidiare il territorio costituì delle milizie di arimanni al comando si sculdasci a cui vennero affidati dei forti.

    La dislocazione di questi forti era essenziale per vigilare le principali direttrici di traffico ma non si eludevano eventuali varchi delle valli che indirizzavano verso la capitale.

    Gli arimanni (guerrieri) erano incentivati alla presenza nei presidi con l’affido di terreni in prossimità del forte, possedimenti che potevano usare come eredità a patto di non frammentare e che affidavano alle cure di servi scelti tra la popolazione locale.

    Lo sculdascio solitamente manteneva il comando della guarnigione per l’intero arco della vita ma la carica non era ereditaia il figlio però se aveva dimostrato il giusto valore e fedeltà al principe poteva ricevere da questi l’incarico del comando come successione al genitore o magari aspirare ad entrare nella schiera dei comes del principe.

    Iniziava così a formarsi la classe nobiliare medioevale che nei secoli successivi ha posseduto, acquistato e conquistato i feudi fino alle leggi eversive del 1808.

    I forti venivano costruiti dalle popolazioni locali in sostituzione dei recinti fortificati di legno che avevano avuto la funzione di riparo provvisorio della guarnigione, di solito erano composti di una torre mediamente alta che aveva molteplici funzioni e da un muro di pietra e malta idoneo a contenere gli assalti di un eventuale aggressore o almeno rallentarne l’avanzata verso la capitale.

    La torre era costruita su più livelli e si accedeva direttamente al secondo per mezzo di una scala di legno e costituiva inizialmente la residenza dello sculdascio mentre la guarnigione alloggiava in una struttura adiacente, il primo livello della torre era composto, quando le dimensioni lo permettevano, da un locale adibito a prigione e da un’altro usato come magazzino, l’intero livello non aveva aperture verso l’esterno e l’unico accesso era costituito da una botola.

    I livelli superiori, accessibili per mezzo di scale interne, avevano delle piccole aperture in funzione di finestra per rendere difficile l’uso di esse come bersaglio di frecce ma idonee a fungere da punto di lancio verso gli aggressori.

    La maggior parte dei forti che inizierò a chiamare “castelli” come da tradizione era posizionata su terreni rocciosi in posizione elevata e seguivano il profilo del pianoro scelto ma a volte occorreva costruirli su terreni alluvionali e in questo caso la forma rispecchiava in qualche modo quella dei castrum romani.

    Il Principato di Salerno a difesa della città costruì sul versante orientale una cintura di castelli che coronava la piana e vigilava sui varchi d’accesso ad essa.

    Il più vicino alla città era quello di Cavallaria, uno sperone roccioso che a quei tempi era un’isolotto a pochissimi metri dalla riva appena oltre il fiume Irno ideale perché riusciva a dominare il principale corridoio d’ingresso alla città per le provenienze da sud (Cavallaria assumerà il nome di Carnale dopo che sulle sue rocce terminò tragicamente il sogno saraceno di conquista del principato nell’872).

    Scendendo verso la piana la cintura inizia con Vernieri (che a detta di alcuni è di edificazione successiva) e Monte Vetrano e poi via via fino a raggiungere le falde dei Monti Alburni con Sicignano, qui la cintura s’interrompe per riprendere fino a Capaccio a causa della presenza costante e minacciosa dei saraceni che aveva occupato la rocca di Agropoli.

    Oltre ai saraceni il pericolo d’invasione avrebbe potuto provenire dalle valli di accesso alla piana da parte dei cugini di Benevento e dai bizantini, per vigilare su questi pericoli le direttrici delle valli vennero pesantemente armate.

    La valle del Picentino aveva il suo sistema fortificato che vedeva nel castello di Torrevecchia il suo apice, la valle del Tusciano possedeva tre grosse strutture (Croci, Acerno e Olibano) mentre una quarta (Battipaglia) nell’immediata prossimità della piana aveva anche la funzione di collegamento con altri castelli , di seguito c’era l’ampio varco sul Sele e i forti partivano da Eboli per raggiungere San Nicandro che segnava l’inizio del vallo del Tanagro che terminava a Sicignano.

    Questa serie di castelli è stato una delle ragioni del forte legame che le popolazioni hanno mantenuto per il territorio anche se nei secoli successivi la maggior parte di queste strutture venne abbandonata per costituire villaggi e città nelle aree prossime a quelle d’origine, di molti castelli oggi si ammirano gli imponenti ruderi abitati solo da animali selvatici e piante infestanti, qualcuno è stato ricostruito di recente mentre due di questi hanno superato i tempi e sono quelli di Eboli e Battipaglia.

    Questi hanno avuto storie diverse, Eboli divenne sede nobiliare di vari casati legati ai re che si sono succeduti sul trono di Napoli e ad oggi è ancora utilizzato anche se da un istituto di correzione per minori, Battipaglia d’altro canto ha subito molti danni in seguito a contese e più volte ricostruito, ogni volta con caratteristiche differenti fino al totale rimaneggiamento degli inizi del 900 che lo trasformarono in residenza signorile in un’improbabile stile neo-medioevale, ma è così’ che lo abbiamo conosciuto noi di quest’epoca.

    Oggi il castello di Battipaglia sta vedendo un nuovo assetto architettonico in seguito al degrado forzato che dagli anni 60 era costretto a subire, la maggior parte della struttura manterrà l’aspetto familiare mentre il versante est che si era sbriciolato è stato sostituito da un nuovo impianto che imiterebbe quello originale tra le polemiche della popolazione della città.

    Degli altri castelli ricordo Terravecchia, ricostruito a mo di scatola, un progetto vedrebbe il riassetto di Olibano, Castel Saginaria (Contursi) è da qualche secolo trasformato in residenza privata e l’ultimo ad apparire ancora in piedi è Sicignano che da qualche anno ha ricevuto lavori di consolidamento mentre rischiava di crollare sulla testa dei cittadini di Galdo, a Salerno invece Cavallaria venne trasformato nel corso dei secoli fino a diventare un forte borbonico col nome di Forte La Carnale, oggi è inglobato nel tessuto urbano della città di Salerno con un suo uso sociale.

    Non è mio compito criticare sulle scelte di privati e enti pubblici sulla sorte dei manieri, voglio solo ricordare che “un popolo senza memoria è destinato all’oblio”.

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