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Due amanti di Montecorvino Rovella sono i veri Romeo e Giulietta

    Non è mistero che sono numerose le ricerche che sostengono la tesi storica sulla veridicità dell’esistenza di Romeo e Giulietta, gli eroi della tragedia che William Shakespeare ha elaborato e portato in scena, le poche differenze che intercorrono tra l’opera teatrale e la realtà mostrano però quando sia stata fervida l’immaginazione del tragediografo.

    Le ricerche hanno individuato la novella da cui il l’autore inglese ha tratto la vicenda della tragedia, il testo venne elaborato da Masuccio Salernitano e ampliamente esposto nella novella XXXIII del “Novellino”.

    I giovani protagonisti della novella erano si due giovani appartenenti a famiglie rivali ma la locazione e i nomi sono completamente errati.

    Innanzitutto la locazione, non Verona come afferma Shakespeare dove il cosidetto “balcone di Giulietta” è all’interno di un cortile chiuso” (e come poteva andare il povero Romeo sotto di esso, passando dal tetto?) ma bensì Montecorvino Rovella e a testimoniare l’accaduto, oltre alla novella del Masuccio compare una lapide all’interno della Chiesa di S.Maria della Pace risalente al 1874 che riporta quanto segue: «La pace è portata qui dove la spada uccise i corpi. Inorridisco nel riferirlo. […] I fratelli di Francesco cercano di convincere i petti crudeli,con l’aiuto della Vergine predicano buone parole a questa gente, così abbracciarono le destre dopo aver deposto la spada. Da ogni parte convengono quanti negli animi e nelle opere edificarono il tempio a cui è stato dato il nome della Pace».

    Le ricerche sulla veridicità della storia partono dal 1971 quando lo storico montecorvinese Nunzio Di Rienzo allora capo scout del paese salernitano incaricò una “branco” di lupetti di recuperare informazioni su quella che era una leggenda paesana.

    E’ risaputo che in fondo a talune leggende si nasconde una scottante verità avvolta nelle nebbie del mistero e questa volta le ricerche dei ragazzi scoperchiarono un calderone colmo di sorprese.

    Uno dei monaci del convento che regge la chiesa, Padre Emanuele D’Arminio, dopo l’intervista fatta ai lupetti estrae tra le carte di famiglia gelosamente conservate un quaderno nero risalente agli anni 30 non autografato ma col titolo “Fatti e misfatti della famiglia D’Arminio”.

    Il contenuto come intuibile raccontava le vicende storiche dell’antica famiglia e della lotta feroce con i suoi antagonisti, i Damolidei.

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    Montecorvino intorno al 1400 era diviso in due aree, la prima di proprietà della Mensa Arcivescovile di Salerno e l’altra del Regio Demanio, queste due terre vennero riunite sotto la tutela del Demanio intorno ala metà del secolo innescando una feroce lotta tra le famiglie per il possesso dei fertili terreni.

    Tra le famiglie in lotta quelle che si distinsero per ferocia e avidità furono gli Arminio di Nuvola e i Damolidei di Ferrari che usavano far strage dei prigionieri catturati sezionando i corpi che venivano poi avvolti in pacchetti e venduti a caro prezzo alla famiglia originaria secondo una prassi ormai consolidata.

    Un banditore avvisava quindi la famiglia del prigioniero della cattura e dell’approssimarsi dell’esecuzione, il motivo era perchè la condizione sine qua non per avere la restituzione del corpo smembrato era la presenza dei familiari al supplizio.

    Siamo dunque nel 1517 e durante una di queste esecuzioni che due giovani, Davide Arminio e Maria Teresa Damolidei incrociano gli sguardi e vengono travolti da passione reciproca, ebbero una lunga serie di incontri notturni anche grazie alla complicità di una guardia corrotta che facilitava l’incontro dei due amanti.

    La stessa guardia però tradì il giovane facendolo catturare dalla famiglia Damolidei destinandolo quindi all’esecuzione pubblica come da prassi consolidata. Venuta a conoscenza della cattura Maria Teresa, eludendo la sorveglianza dei familiari, si consegnò alla famiglia Arminio come estremo gesto d’amore.

    Ignari del gesto di Maria Teresa i Damolidei inviarono di buon mattino il banditore dagli Arminio per annunciare l’olocausto del giovane e durante la cerimonia “sacrificale” gli Arminio mostrarono agli antagonisti la ragazza.

    Come nella tragedia shakespeariana è di vitale importanza l’intervento di un cappuccino, padre Beniamino D’Enza, che frapponendosi tra i contendenti riuscì a fermare la strage che stava per consumarsi quel giorno, esortò le due famiglie a fermare le ostilità e come suggello celebrò il matrimonio tra i due giovani amanti.

    Il luogo delle esecuzioni venne consacrato con l’edificazione della Chiesa di Santa Maria della Pace mentre Davide e Maria Teresa, e qui la differenza sostanziale con la tragedia di Shakespeare, vissero “felici e contenti” 

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