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I Doria, da principi a latifondisti

    Marcantonio Doria (Simon Vouet)

    Bisogna ricordare che Battipaglia non deve il suo sviluppo al solo comparto edilizio, anzi questo non è altro che un effetto secondario della fortuna passata della cittadina, per comprendere meglio l’espansione bisogna volgere lo sguardo verso il mare, verso quell’immensa pianura che oggi è biancheggiante perché ampliamente coperta dai teli selle serre.

    La fortuna di questa città la si deve a quella piana, una storia perlopiù misconosciuta, celata,     dimenticata perché gli eroi di questa città sono i contadini che hanno patito e sofferto le angherie dei signorotti e le punture delle anofele.

    Tra i signorotti della piana, anzi uno dei principali proprietari terrieri era il Principe d’Angri, lo stesso che nel centro storico di Angri aveva quel fantastico castello o che, in pieno centro a Napoli aveva il palazzo dove il nizzardo si affacciò per salutare i napoletani.

    [wpedon id=”8864″ align=”left”]Il Principe d’Angri giunse nella piana soppiantando i Grimaldi di Eboli che estinsero la dinastia con Agostino la cui vedova, Isabella della Tolfa, sposerà Marcantonio Doria agli inizi del 1600.

    I possessi dei Grimaldi quindi passarono ai Doria e, invece di essere assunti dal figlio di primo letto Nicolò Grimaldi furono assegnati dietro un congruo pagamento di imposte alla Camera della Sommaria da Nicolò Doria nel 1640 grazie alla morte prematura del fratellastro in Spagna.

    Sia i Grimaldi che i Doria erano originari di Genova, ma se i primi non visitarono mai i feudi salernitani, gli ultimi preferirono assumerne il diretto controllo e oltre alla contea di Eboli, il Doria acquisì altri feudi tra cui Spineta, Bosco Grande, Palazzuolo, Filette, Lago Piccolo, Lago Grande.

    Oltre ai suddetti acquisti vennero usurpati diversi beni ecclesiastici tra cui Battipaglia, cosa che valse la scomunica a Nicolò, ma la campagna acquisti non lo proteggeva dalle imposizioni demaniali sui diritti di pascolo e semina, per ovviare a questi decise di utilizzare fossati e siepi onde evitale l’accesso all’uso civico.

    Nella piana fin dal 1400 era stato introdotto l’allevamento di bovinidi della specie bufalina che, a differenza delle cugine bovine, aveva bisogno di meno cure umane e aveva un ciclo annuale di produzione i latte maggiore.

    Erano già presenti estesi allevamenti ad Arenosola, Spineta e Lago Piccolo e, con l’aiuto finanziario delle famiglie di banchieri Strozzi, Spinola e Pappagoda a cui si era legato con contratti matrimoniali di consanguinei, il Doria aumentò in modo considerevole l’estensione degli allevamenti approffittando della carente possibilità dei contadini di arginare l’effetto del bradisismo negativo che stava affliggendo l’area.

    I prodotti bufalini venivano immediatamente elaborati nelle bufalare da abili mani artigiane per poi essere rivendute nei mercati di Salerno e Napoli che sempre di più ne facevano richiesta.

    Nelle difese e nei possedimenti Doria vennero quindi espiantati vasti frutteti, vigneti e boschi di olmi e querce, lo stesso Nicolò gestiva direttamente una parte dei possedimenti con 3000 bufale, 1600 bovini, 600 ovini e 250 cavalli, il solo affitto di terreni al Lago Piccolo fruttava ben 2400 ducati annui mentre erano 6 quelli che entravano per ogni capo portato al pascolo nelle proprie terre.

    Nicolò gestì per circa cinquant’anni i suoi domini, alla sua morte subentrò il nipote Marcantonio perché non era riuscito a generare un erede diretto, il giovane Doria riprese le politiche espansioniste dello zio acquisendo nuove difese e dopo di lui il figlio Carlo con cui inizia la lenta decadenza della casata e poi un altro Marcantonio Doria.

    Le araldiche nobiliari napoletane lo indicavano come Don Marcantonio Doria, Signor della casta Doria e di Bilvestre in Castiglia Vecchia di Spagna, Principe d’Angri, Duca d’Eboli, Conte della città di Capaccio, Utile Signore di Giuncano, Spinazzo, Cannetello, Convincenti, Lago Piccolo, Castelluccia, Fasanara, Ortogrande, Torre delle Grotte e delle Terre di San Vito al Sele, Patrizio genovese e napoletano.

    Nonostante l’accuratezza della gestione di Marcantonio Doria, l’intero latifondo, privo di qualsiasi utilizzazione o godimento da parte di gran parte della popolazione, subì una ripercussione negativa dell’assetto del territorio causando il blocco di ogni iniziativa tesa ad un uso più razionale e economicamente efficiente.

    La lontananza dai feudi stava portando la casata alla rovina mentre l’intero meridione stava vivendo quella rinascita settecentesca grazie all’avvento di Carlo di Borbone alla guida del regno, i Doria deridevano in privato la nuova casa regnante per via di una presunta superiorità culturale, erano tra l’altro i maggiori oppositori della legge sulle terre quarte che non autorizzavano all’uso anche con sopprusi verso i contadini.

    Se nel 600 fu permesso ai Doria di erigere siepi lungo i confini, nel 1746 i contadini, forti di un nuovo corso storico, le incendiarono durante i tumulti, Marcantonio fu costretto all’esilio all’indomani della caduta della Repubblica Partenopea di cui era un forte fautore e i suoi beni vennero posti sotto sequestro e dati in gestione ad amministratori borbonici solo 3 anni dopo, al ritorno, gli riconsegnarono i tenimenti in forte attivo.

    Con la legge sull’eversione della feudalità del 1816 i Doria non subirono alcun contraccolpo, anzi acquisirono altri tenimenti come i 1200 tomoli dei conventuali di S.Mattia e i 750 paludosi del demanio in barba agli usi civici previsti mentre la contrapposizione col ceto borghese non comprendeva l’utilizzo di coltivazioni intensive a scapito dell’allevamento e dell’estensiva cerealitica operata dal Doria. I contadini erano i veri perdenti da questo scontro, i Doria evitarono il più possibile l’utilizzo civico del demanio e lo scontro con l’università di Eboli volse a loro favore.

    Parte dei possedimenti fu dato in fitto a diversi tenutari che poco alla volta, per varie congiunture economiche, dovettero abbandonare i terreni che progressivamente tendevano a perdere di valore.

    Il segno maggiore della volontà della famiglia Doria i voler tenere caparbiamente il possesso dei terreni fu la ristrutturazione della Torre delle Grotte nei pressi della Spineta, l’antico fortilizio divenne una sontuosa villa fortificata cinta da mura con fossato antimurale e relativo ponte di accesso come negli usi medioevali.

    Alla morte di Marcantonio Doria tutti i beni della famiglia vennero divisi tra vari eredi che li condussero più o meno degnamente, i territori tra il Sele e il Tusciano rimasero alla famiglia fino al secondo decennio del secolo XX per passare nelle mani dei Valsecchi-Farina al tempo della bonifica, della villa fortificata non ne è rimasta nessuna traccia.

    L’ultimo Doria, un altro Marcantonio, muore nel 1985 e con lui anche i titoli che l’accompagnavano.

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