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Il castello di Montevetrano e i la principessa della torre

    Quanto mistero si cela dietro un muro di pietra, isolato testimone di vite trascorse e perdute nella polvere del disfacimento, se si potesse udire la sua voce, il suo lamento, il suo dolore.

    E quanto dolore si è consumato nel quadrato recinto del Castello di Montevetrano, un luogo quasi inaccessibile ma ben visibile, misterioso e maestoso allo stesso tempo.

    La sua storia inizia più di 2000 anni fa, Annibale ha invaso con le sue armate l’Italia, Roma è in affanno e le legioni mandate a fermare il cartaginese sono state distrutte una dietro l’altra. A dare man forte al generale cartaginese si uniscono varie popolazioni italiote che mal condividono il dominio dell’Urbee tra queste vi è quella della città di Picenza, capitale della tribù dei Picentini.

    Dopo la disfatta di Zama inizia per le popolazioni italiche ribelli la purga romana e Picenza ne è una di queste, i seniores e i nobili della città vengono decollati dalle milizie mentre la plebe viene dispersa nell’Ager Silarus, l’odierna Piana del Sele,la città è rasa al suolo e cosparsa di sale.

    Viene fondata la colonia di Salernum e a guardia della stessa viene eretto un castrum a poca distanza, il Castrum Salerni, la posizione del castrum è strategica, dalle sue mura lo sguardo impegna sia la difesa della colonia sia il controllo dell’intero Ager.

    Trascorre il periodo romano e inizia quello barbarico-medioevale, i bizantini, i longobardi, i normanni e così via, il castrum è sempre li, viene ampliato, vengono erette mura in pietra, una torre circolare al suo interno come mastio ed è sempre li a vegliare sulla piana del Silaro, li sul Monte Vetrano.

    Quindi dal III secolo A.C. Sul colle si erge la solitaria sentinella, dapprima ha le mura in legno secondo lo stile del castrum romano, dall’XI secolo viene ampliato e dotato di mura perimetrali in muratura con l’accesso a nord pur mantenendo la forma quadrata tipica.

    La proprietà viene assunta dalla famiglia D’Ajello e tra alti e bassi, la struttura resta quasi inaltera nelle fattezze fino al 1867 quando diviene base di stazionamento dei Reali Carabinieri per il controllo dell’area contro il brigantaggio.

    Dicevamo che la struttura è di forma quadrata e presenta al suo interno un mastio cilindrico dal quale è possibile spaziare la vista sull’intera valle e sulla città di Salerno ma la cosa che maggiormente risalta su questa struttura e la storia che si è consumata tra le sue mura e che le cronache salernitane e del Regno di Napoli annoverano tra i fatti d’arme avvenuti nel Regno.

    Su Napoli governava Roberto I d’Angiò il saggio, l’anno era il 1334 e una fanciulla, Bianca era il suo nome e Venere era la sua madrina per tanta bellezza che mostrava e La Porta era il nome del suo casato era alla vestizione per il suo matrimonio con Landolfo Santomango, rampollo di una ricca famiglia della zona.

    La bellezza di questa fanciulla aveva reso folle di gelosia un altro giovane nobile del luogo, Riccardo D’Ajello, tale era la follia che la rapì e la rinchiuse nella torre del suo castello (sembra una favola ma è storia), nella torre rotonda del Castello di Montevetrano.

    Re Roberto, informato dapprima del temerario atto,e scandalizzato dicotanta scelleraggine, emanò bando contro di lui il di 1 di agosto isse indiritto a giustizieri delle provincie, col quale, fulminò pene severe a chiunque desse ricetto a a Riccardo de Agello milite di Salerno. homo sceleratus… ob enorme delictum ab olim patratum ; mandamus quod nemo potest eum receptare.

    In ogni caso le due famiglie vennero alle armi e alla disputa parteciparono tutte le famiglie nobili della zona, i Santomango, accesi di rabbia giurarono di cancellare col sangue l’onta subita dalla famiglia D’Ajello, si formarono quindi due schieramenti, i testi parlano di 334 armati dalla parte dei D’Ajello e 355 per i Santomango, questi numeri però s’intendono solo gli armati di rango, ad essi vanno sommati i servi e i vassalli, quindi un bel numero di uomini in contrasto sulla scena.

    S’accese la guerra civile e Salerno subì tutti i mali ad essa attribuita: uccisioni, saccheggi, incendi e tutti i lutti connessi, i commerci vennero bloccati a lungo e anche chi era neutrale subì danni dalla contesa.

    Solo alla fine dell’anno 1338 i due sindaci (la città era governata da due sindaci, uno per i nobili e l’altro per il popolo) riuscirono a imporre la pace e con essa re Roberto approvava il perdono alle due famiglie a instantibus Sindicis universitatis eiusdem.

    « Universitali Civitatis Salerni. indultum ad favorem illorum de cognomine Agello et de Sancto Magno, qui diu inter eos dissiderunt patrando homicidia et crimina ……. quia iam pacem inhierunt et inter sequaces illorum de Agello sunt Philippus miles, Jacobus, Mattheus, Franciscus, Masullus, Ioannes, abbas Riccardus et Raynaldus de Agello ……..”.

    Dopo l’indulto la quiete tornò nelle contrade ma le famiglie rimasero in aperto disaccordo fin quando una mano ignota pose termine alla vita di Riccardo D’Ajello nel 1350.

     

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