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Il paese del cece

    Storie e leggende si fondono sulle coste cilentane, dai miti del nocchiero Palinuro e della ninfa Licosa, ai fantasmi dei tanti castelli e palazzi gentilizi, ai luoghi di sommosse e rivoluzioni, alla memoria di battaglie e civilizzazioni.

    Il Cilento, l’aspra terra che ha dato luce ai tempi bui con la testardaggine delle propria progenie, con la conquista palmo a palmo di un fazzoletto di terra coltivabile, dai frondosi boschi e dai pascoli difficili offre ancora oggi motivo di studio e riflessione.

    E’ da questi luoghi che prende vita la dieta mediterranea, è da questi luoghi che l’ulivo fornisce l’olio più dolce e la vite il vino più robusto, e sono questi i luoghi più dimenticati di questo Stato.

    Ma è caparbio il cilentano, non abbandona il proprio terreno se non ne è costretto “cu na fune nganna” si direbbe, e quando succede porta con se una manciata di aspra terra da poter toccare, odorare e adorare.

    Quante piccole cose di questi luoghi danno lustro all’asprezza della vita, ne rammento solo un paio affinchè non sia da far pomposi elogi ma solo per mostrare al mondo la bellezza e la bontà dei luoghi.

    E’ di questa terra il piccolo fagiolo di Controne, bianco, tondo, con la pellicina sottile, delicato e gustoso, principe delle falde meridionali dei Monti Alburni.

    In un’area vicina, quasi limitrofa, un’altra eccellenza riempie il cuore di delizia, il cece.

    Questo piccolo legume originario dell’Asia occidentale è giunto in questi luoghi da migliaia di anni e ha trovato un territorio di elezione sulle colline che circondano il piccolo paese di Cicerale, abbarbicato sui primi contrafforti del Cilento.
    E’ una pianta piccola, dal portamento semi prostrato (per capirsi un po come i piselli), che non necessita di acqua durante la coltivazione e che cresce nelle condizioni pedoclimatiche più difficili, per questo la sua coltivazione è molto diffusa ancora oggi nei paesi di origine: Iran, Pakistan e India.
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    In Italia la sua coltivazione è molto ridotta e rimane legata alle tradizioni agricole e alimentari del Sud Italia, ma in un passato non molto lontano i ceci si alternavano comunemente al grano e agli altri cereali, apportando alla dieta dei contadini una alta percentuale di proteine. Il nome Cicerale e il blasone comunale di questo paese, testimoniano una produzione importante sin dal Medioevo: “terra quae cicera alit” (terra che nutre i ceci), recita lo stemma del paese che raffigura anche una pianta di ceci intrecciata con una graminacea. E ancora oggi nei terreni di Cicerale si produce una varietà locale di piccoli ceci rotondi, dal colore leggermente più dorato rispetto a quelli comuni, con sfumature nocciola chiaro, e dal sapore intenso. Per il suo basso contenuto di umidità alla raccolta si conserva per molto tempo e tende ad ingrossarsi notevolmente in fase di cottura.
    Per coltivarlo si seguono i criteri dell’agricoltura biologica, non si usano prodotti chimici e non si fa irrigazione. La raccolta, alla fine di luglio, è molto faticosa e le quantità al momento sono modeste. Quando il seme è maturo le piante ormai secche vengono estirpate in campo e lasciate in loco ad asciugare, fino a che non sono abbastanza secche per la trebbiatura. Si appoggiano le piante su sacchi di juta, si coprono e si battono con grossi bastoni di legno oppure si trebbiano con una piccola trebbiatrice posta a ridosso del campo e alimentata a mano. La conformazione accidentata del terreno e la presenza sulla pianta di baccelli molto vicini al terreno impediscono l’utilizzo di una trebbiatrice semovente.

    Nella nuova cucina i ceci vengono solitamente passati per ricavarne una crema con cui si fa un letto nel piatto, onestamente …… li amo interi e possibilmente con la lagana (dal greco antico “laganos”) la prima forma di pasta conosciuta da cui sono derivate le tagliatelle.

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