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Il porto sul fiume

    È comune l’incedere dell’errore da parte di chi, non conoscendo direttamente i luoghi, tenta di descrivere un’area seguendo gli scritti di autori ormai ridotti in cenere dal riposo eterno, la memoria di un luogo appare quindi distorta e le localizzazioni estremamente imprecise.

    Uno di questi casi è quello che andrò a descrivere e, avvalendomi di testi, conoscenza dei luoghi e anche della logica cercherò di capire cosa si nasconde dietro un toponimo ormai dimenticato.

    Immaginiamo ora di uscire dalla città di Salerno attraversando Porta Rotese percorrendo la Via Regio-Capuam verso sud, si attraversa il Tusciano nei pressi del villaggio di Sant’Arcangelo e lambendo la collina si raggiunge Eborum (Eboli), dopodichè si giunge presso un ponte a doppia arcata che attraversa il fiume Sele nei pressi della confluenza del fiume Tenza per poi risalire sul piano di campagna per dirigersi con un lungo rettilineo direttamente verso i Monti Alburni.

    L’utilizzo dei percorsi antichi farebbe supporre che il ponte sul Sele si troverebbe in luogo dell’attuale attraversamento con il ponte spagnolo sulla SS19 ma, a dire il vero il ponte originario era un’area leggermente a nord di quella attuale.

    Risalendo il fiume infatti si notano a poca distanza le fondazioni del vecchio ponte (chiamato ponte rotto) come pure altre fondamenta antiche.

    Ma se sul percorso dell’antica strada romana pochi sono i dubbi che la pervadono non si può dire altrettanto delle fondazioni che lambiscono il fiume sul luogo dell’attraversamento a secco ed è proprio di quelle strutture che intendo discutere.

    Una volta il fiume Sele era altamente navigabile, alla foce esisteva un fiorente approdo di scambio denominato Mercatellum da dove derrate e l’ottimo legno degli Alburni venivano imbarcate per raggiungere i luoghi più estremi del Mediterraneo, e questo accadeva già quando i calzari delle legioni romane erano presenti nel bacino del Mare Nostrum.

    Dobbiamo al Sommo Virgilio nelle Georgiche la prima annotazione della presenza di un porto interno sul Sele, annotazione che Probo puntualmente riporta in seguito citando anche Caio Lucilio che ne attesta l’esistenza (Silarus flumen est Lucaniae. Portus Alburnus at eiusdem nominis mons ad sextum a primis tabernis. Mentionem facit Lucilium hoc versu: Quatuor hinc ad Silari flumenm portumque Alburnum), quest’annotazione di Probo viene puntualmente ripresa nei secoli a venire per descrivere la corografia della Lucania di cui il Sele era il confine settentrionale, infatti la troviamo in tutti i testi europei e latini che citano gli Alburni.

    La citazione afferma che il porto interno denominato Portus Alburnum è a sei miglia dalle prime taverne, la localizzazione è facilmente intuibile seguendo il percorso della vecchia strada romana ma non tutti erano daccordo, alcuni testi riportano che il porto suddetto sia localizzato in altro luogo molto distanziato dalla strada, uno di questi fu il geografo Filippo Cluverio che affermava in Italia antica del 1624 Portus hic Alburnus, haud dubie codem fuit situ, ubi nunc traiectus est ìnferior fluminis, tria circiter milia passum a mari , quidpe hic in leva amnis ripa veteris sive Templi, sìve castelli ruina, etiam nunc vulgari vocabulo incolis dicitur Alsurno, cioè a tre miglia dalla costa dove esistevano delle rovine che poi sono state identificate col santuario di Hera Argiva, altri invece lo confondono con la struttura di Mercatellum come Charles Anthon nel A Classical Dictionary del 1841.

    [wpedon id=”8864″ align=”left”]La confusione sulla localizzazione del Portus Alburnum nelle varie citazioni bibliografiche è di sicuro incentivata dalla presenza di vari approdi lungo il corso del fiume dal quale si intravede maestosa ed incombente la formazione montana degli Alburni, gli approdi erano utilizzati per varie tipologie di natanti, dalle piccole imbarcazioni dedite alla pesca nelle ricche acque del fiume ai grandi sandali, chiatte con buona capacità di carico.

    Il Portus Alburnum dunque dov’era localizzato?

    Di certo non alla foce del fiume Sele, li c’era Mercatellum, a 3 miglia da li neanche perché era il santuario di Hera, torniamo allora alla citazione di Probo e in particolare su di un passo: ortus Alburnus at eiusdem nominis mons ad sextum a primis tabernis, il porto Alburni era a sei miglia dalla prima taverna, ma le taverne venivano erette lungo le consolari e l’unica era la Regium-Capuae comunemente detta Annia-Popilia e a sei miglia in direzione sud c’era la prima taverna in località Zancuso e dopo altre tre c’era una mansio, quella di Zuppino alle Nares Lucaniae quindi alle falde degli Alburni, 9 miglia soltanto mentre a circa 400 metri a sud del ponte esisteva la mansio ad Silarum flumen più o meno dove c’è la cava vicino al ponte spagnolo.

    A dissipare le nebbie del dubbio è intervenuto il Gruppo Archeologico Salernitano che durante una delle loro ricerche sul terreno sono giunti sul luogo del ponte rotto nel 1995.

    È infatti del 1995 una loro accurata indagine sul sito silariano dove hanno appurato la presenza di una struttura assimilabile ad un porto fluviale solidale con la struttura del ponte stesso.

    L’equipe guidata dall’ingegnere Michele Falchetta e dal geometra Giuseppe Frieri hanno individuato una struttura costituita da monoliti sulla riva del fiume a 400 metri a valle della diga lunga una ventina di metri oltre all’individuazione di numerosi frammenti di terracotta del periodo romano.

    Altre ricerche hanno individuato parte dei blocchi appartenenti al ponte nel letto del fiume e, alla profondità di 6 metri il 13 luglio 1997 è stata recuperata un’ancora alla presenza della sovrintendenza archeologica di Salerno.

    Il ritrovamento a dato l’ultimo colpo d’aria per dissipare le nebbie, il Portus Alburnum era quindi posizionato all’incrocio del Fiume Sele con la strada consolare, a ben 21 chilometri dalla foce e l’ancora, datata al V secolo, dimostra che a quel periodo era ancora attivo e lo restò probabilmente fino al 1600 come punto d’imbarco del legno proveniente dalle montagne e diretto alla foce.

    Molti scrittori che riportano le annotazioni sul porto probabilmente non hanno neanche posato gli sguardi sul Sele o sulla piana che attraversa avvalendosi esclusivamente del passaparola letterario che progressivamente ha eroso alla base le notizie provocando la confusione sopravvenuta sulla locazione del sito, probabilmente non erano neanche a conoscenza dei traffici che questo generoso fiume ha permesso che si svolgessero lungo il suo lento incedere verso il mare nel corso dei secoli passati.

    La Storia non si sfoglia con le leggende o il sentito dire, solo l’attenta analisi della memoria dell’uomo e del territorio possono svelarne i misteri.

    I libri di storia vanno considerati come opere di pura immaginazione. Sono racconti fantastici di fatti mal osservati, accompagnati da spiegazioni inventate a cose fatte. Se il passato non ci avesse trasmesso le sue opere letterarie, artistiche e monumentali, non conosceremmo nulla di vero.

    Gustave Le Bon, Psicologia delle folle, 1895

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