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Ippolito da Pastena, il Masaniello salernitano

    Saltando avanti e indietro nelle vicende storiche del Principato Citra giungo non per caso a visualizzare i fatti del 1647 quando il, Consiglio dei baroni a Napoli stabilì una nuova tassa sulla frutta che al tempo era l’alimento principale dei poveri del regno, la popolazione della città partenopea giustamente insorse contro questo nuovo balzello sotto la guida di un pescivendolo, Tommaso Aniello meglio conosciuto come Masaniello.

    La rivolta scoppiata nella capitale fu la miccia che accese una ribellione generale di tutto il regno ma a Capua, Aversa, Nola, Salerno la sollevazione assunse anche tinte drammatiche al grido “Viva il re e muoia il malgoverno”. Il popolo dunque, chiede giustizia contro i feudatari con l’abolizione di tasse e gabelle, ma il movimento dura poco.

    Per acquietare gli animi Masaniello viene nominato Preposto e Prefetto Generale del Fedelissimo Popolo Napolitano, come primo decreto abolisce le gabelle e dichiara ” è venuta l’ora tanto da noi desiderata del nostro riscatto…..vi prometto che libererò questa città da tante oppressioni ed a godere l’abbondanza che Iddio ci manda e che da questi cani che ci governano ci viene tolta” ma il suo comando non dura che nove giorni perché, come prevedevano le alte sfere, venne preso da manie di grandezza che indussero i suoi stessi sostenitori a linciarlo viene massacrato dai suoi stessi sostenitori.

    A quel tempo le condizioni sociali ed economiche del popolo del Principato Citra erano delle anche peggiori rispetto alla capitale e facendo eco alla rivolta napoletana i salernitani si sollevarono contro i nobili del principato e anche in questo caso fu un pescivendolo a porsi a capo dei manifestanti, Ippolito di Pastena.

    Ippolito aveva appena trascorso gli ultimi dieci anni in galera e si era arruolato nelle milizie del duca di Nocera composte perlopiù da delinquenti senza scrupoli che, approfittando della caduta dei Sanseverino portava scompiglio nella città.

    Ponendosi alla testa di un esercito di popolani male armati Ippolito prese possesso di Salerno e di molti paesi della provincia e pose il suo quartier generale nell’antico Forte La Carnale.

    Gli spagnoli reagirono alla rivolta rioccupando la città ma l’8 dicembre il rivoltosi marciarono nuovamente su Salerno con l’appoggio dei francesi in lotta contro gli spagnoli e Ippolito approfittò dell’improvviso potere per costruirsi una notevole ragnatela di rapporti politici con i potenti dell’epoca.

    Dopo la morte di Masaniello, il Duca di Guisa conferì a Ippolito il titolo di vicario generale della Basilicata e del Principato, estendendone, di fatto, l’autorità anche su Napoli, dove Ippolito si trasferì. Il pescivendolo, diventato condottiero, venne poi sconfitto dagli Asburgo, che rioccuparono Napoli il 5 aprile 1648, costringendolo alla fuga. Si rifugiò, allora, a Salerno, che ormai stava per capitolare a causa della scarsità di mezzi da opporre agli Spagnoli. A Ippolito non restò che sciogliere l’esercito e figgire a Roma.

    Non era bastata questa lezione al pescivendolo, tentò nuovamente di rioccupare Salerno con la flotta francese a fianco del comandante Tommaso Carigliano di Savoia il 9 agosto del 1648 e, dopo aspri combattimenti aiutato anche dai sostenitori che ancora dimoravano a Salerno, riuscì dapprima a conquistare la parte nord e Vietri ma la città di Cava dei Tirreni si oppose con una strenua resistenza popolare e la riconquista completa di tutta Salerno fallì miseramente e la flotta si ritirò dal golfo.

    Un ultimo tentativo di riconquista Ippolito lo tentò nel 1654 spalleggiato dal duca di Guisa con uno sbarco a Castellammare di Stabia atto a agitare una nuova sommossa contro gli Asburgo senza riuscirci.

    Di Ippolito di Pastena si perdono le tracce nel 1656, probabilmente il condottiero potrebbe essere morto di peste durante la terribile epidemia di quell’anno e il suo corpo sarebbe stato bruciato.

    Il suo nome, comunque, venne per secoli affiancato a quello dei tanti delinquenti comuni e briganti messi a morte dagli Spagnoli nel periodo della loro dominazione sul Meridione, le sue gesta vengono raccontate in un libro scritto nel 1908 da Giacinto Carucci dal titolo “Il Masaniello Salernitano”.

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