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L’Arcangelo del Tusciano

    Oggi un miserando rivolo d’acqua parte da Acerno e attraversando un’angusta valle tra macchie e boschi raggiunge dapprima Ariano e poi Monticelli nel comune di Olevano sul Tusciano per poi, addolcendo la sua pendenza, attraversare Battipaglia e di lì raggiungere le fresche acque del Tirreno, questo è oggi il Fiume Tusciano, in questi passaggi lo si nota ridotto ad una portata che lo fa sembrare un ruscello ma non sempre è stato così.

    Lungo il suo tratto in pianura un tempo era navigabile, vi erano numerosi porti dove avveniva lo scambio di derrate e manufatti, certo non erano navigli di grande stazza ma adeguati alla navigazione fluviale che dovevano poi raggiungere porti con una maggior capacità di cabotaggio come Salerno, Pestum, Foce Sele.

    La presenza di tali porti lungo le rive del fiume erano il segno della buona portata del corso d’acqua pertanto l’attraversamento a guado era pressochè impossibile quindi necessitava la presenza di almeno un ponte che una volta era ubicato nei pressi del convento e dell’abitato di Sant’Arcangelo sul percorso della Via Annia-Poppilia che da Capua, dopo l’attraversamento della città di Salerno, si dipartiva per raggiungere Reggio.

    Oggi sia del ponte che del convento se ne è persa ogni traccia, sono pochi e rari i riferimenti documentali a tali luoghi, di certo era che la posizione era nella valle a ridosso delle colline picentine.

    A guardia del ponte sul Tusciano venne eretto il maniero di Battipaglia e il Castrum Olibani (sopra Salitto di Olevano) era il baluardo di eventuali incursioni provenienti dalle Puglie.

    Queste fortezze servivano infatti a contrastare se non a fermare le minacce saracene con le quali il Principato di Salerno ebbe a che fare, ed erano due della corona di castelli eretti dai longobardi a guardia della capitale e della pianura.

    A molti olevanesi e battipagliesi è nota la località Garezzano lungo la provinciale che unisce i due comuni, quella strada che nel comune di Olevano assume il nome di Via Mensa e che una volta era denominata Mensa Arcivescovile, attraversa la vallata formando un pianoro attraversato dal Fiume Tusciano, ma sono solo in pochi a chiamare quel luogo Campo che come per Mensa l’intero nome è stato troncato nel corso del tempo.

    Il nome per esteso della valle è Campo della Battaglia e, ad onore delle genti olevanesi, fu teatro di uno scontro epico tra i militi e i contadini olevanesi contrapposti alle orde saracene.

    E proprio uno dei condottieri saraceni, Apollafar, che da Taranto nell’anno 871 e attraversando l’Appennino sbuca con le sue orde dal Varco del Lupo tra Eboli e Olevano per dare l’assalto alle mura di Salerno.

    Siconolfo, Principe di Salerno aveva a quel tempo posto la sua dimora nel suo palazzo nei pressi del convento di San Francesco ma gli affari di stato li gestiva dal Palatium di Arechi presso Porta Marina, e proprio in quella sede seppe la notizia dell’arrivo del moro e conoscendone la fama di crudele condottiero, dispaccia alle guarnigioni di Battipaglia e Olevano di contrastare l’avanzata saracena magari anche con l’aiuto della popolazione locale che era di provata fedeltà al principe longobardo.

    Mentre Battipaglia creava un campo trincerato in previsione di un attacco da Agropoli, gli olevanesi si schierarono a difesa del ponte e del borgo di Sant’Arcangelo, e fu proprio su questo fronte che Apollafar lanciò i suoi armati, l’impatto dei saraceni fu devastante, le linee difensive subirono l’intensità della sferzata agarena e rischiarono di essere travolti di essere infranto dagli attaccanti, l’impreparazione militare dei contadini e l’esigua schiera di soldati al comando di un capitano poco potevano contro la ferocia e la preparazione dell’esercito moresco.

    La disfatta era quasi una certezza e la perdita del ponte avrebbe segnato sicuramente anche le sorti del principe che non era ancora pronto per la difesa della città, ma la caparbietà degli olevanesi (ancora oggi sono così) che fin dall’inizio invocavano l’aiuto di San Michele Arcangelo fecero sì che quest’ultimo infondesse nella schiera cristiana la forza di tentare un’ultimo assalto al momento dell’arrivo dei militi della Castelluccia accompagnato da un fragoroso e martellante suono di tamburi che infranse la potenza agarena costringendola inizialmente al ripiegamento e infine alla rotta verso Taranto.

    L’intero versante sinistro del Tusciano era ridotto ad un carnaio, non si conoscono l’effettivo numero delle forze in campo ma si racconta che non si poteva camminare senza calpestare o un cadavere o un arto o testa recisi, per l’impossibilità di seppellire tutte le vittime dello scontro la pietà cristiana giunse a coprire il loro volto con una tegola.

    Siconolfo stesso che giunse a Sant’Arcangelo per dare man forte agli olevanesi restò bloccato sul ponte in lacrime davanti a quella devastazione e quella prova di fedeltà.

    È da allora che la devozione popolare per ringraziamento all’Angelo guerriero ogni anno fa attraversare l’intero territorio comunale dalla statua, nel primo periodo era annunciata dal fragore di numerosi tamburi rollanti e dalla melodia dei flauti che furono sostituiti con l’avvento della polvere da sparo dal tuono dei pistoni fino agli anni 50 dello scorso secolo.

    Le esigenze poi trasmutarono questo richiamo nell’esecuzione di una intensa batteria di fuochi artificiali ma resta immutata la devozione della semplice e testarda gente di Olevano la cui voglia di onorare il proprio Santo Protettore e la propria memoria attraversa i secoli è un indice di forte legame con il proprio territorio che nessuna modernità potrà cancellare.

    Il racconto dell’Arcangelo del Tusciano è tratto da appunti del prof. Carlo Carucci.

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