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L’assedio di Salerno

    La storia ricorda tre grandi battaglie tra cristiani e mussulmani, Poitiers, Lepanto e Vienna ma molti altri scontri avvennero tra le due civiltà, come la strenua difesa del conte Vlad di Valacchia o come l’assedio di Salerno.

    Sul conte Vlad che la storia ricorda come “l’impalatore” e la letteratura come “il conte Dracula” ormai sono state scritte centinaia di pagine ma dell’assedio di Salerno se ne ha poca rimembranza.

    Erano ormai diversi anni che i longobardi dei principati di Salerno e Benevento alternavano alleanze e opposizioni con i saraceni che intanto avevano occupato la rocca di Agropoli, Taranto e  Bari e ciononostante l’Opulenta Civitas salernitana pullulava di genti residenti e ospiti di etnie e culture contrapposte.

    In un’assolato pomeriggio estivo nella città di Salerno un agareno (saraceno) che circolava per le strade incontra Guaiferio che tornava dalla spiaggia di Santa Teresa dopo un bagno rinfrescante con un telo sulla testa per ripararsi, Arrane, questo era il nome del saraceno, non riconoscendo nell’interlocutore il principe avendolo scambiato per un semplice arimanno, gli chiese in dono il fazzoletto per asciugarsi del sudore di cui era madido, sorpreso e divertito Guaiferio si tolse il telo e lo donò allo straniero, l’agareno elogiò il gesto del principe che intanto aveva ripreso la sua strada e solo dopo averlo seguito con lo sguardo un passante gli rivelò lo status del cavaliere.

    Alcuni giorni dopo Arrane lasciò Salerno per far ritorno in Africa, approdò ad Algeri, ai suoi occhi risaltarono immediatamente l’eccessivo affollamento di navi e guerrieri per le strade della città: iniziò a chiedere il motivo di quel movimento straordinario e, nel recepire che l’emiro Adb-Allah stava armando una possente flotta e nel contempo stava arruolando un forte esercito per invadere le coste italiane e colpire a morte la città di Salerno, sgomento il saraceno valutò rapidamente di avvisare il principe longobardo del prossimo pericolo, nella sua mente vi fu il rapido confronto tra i modi arroganti dei capi mussulmani rispetto alla gentilezza e alla semplicità dei modi di Guaiferio.

    Si adoperò quindi a conoscere meglio i particolari dell’impresa in atto annotandoli in una una missiva con le indicazioni sulle probabili direttrici dell’attacco e consigliando di potenziare le strutture difensive per la città.

    Utilizzando poi la rete conoscitiva dei mercanti l’affidò ad un amalfitano di nome Florio in partenza per Salerno l’intero plico con la preghiera di farlo giungere nelle dirette mani del principe e con la raccomandazione di preludere la consegna con la frase “Queste parole te le fa sapere l’agareno al quale donasti il fazzoletto”.

    Così avvenne, Florio consegnò nelle mani di Guaiferio il plico che subito convocò il comitato per consultarlo.

    Il consiglio convenì col principe che era necessario apportare sostanziali modifiche alla già possente cintura difensiva della città come l’innalzamento di un antimurale presso la riva marina e la costruzione di tre nuove torri (forti), due sul lato orientale e una su quello occidentale.

    A correre in aiuto del principe accolsero dietro chiamata maestranze capuane che si occuparono del versante occidentale delle fortificazioni e tuscianensi che operarono sul lato orientale, Aldii e servi completarono le opere necessarie entro la primavera dell’871 appena pochi giorni prima dell’arrivo della possente flotta saracena.

    In città era anche presente il principe di Benevento Adelchi con una piccola scorta e all’approcciarsi dei nemici abbandonò la città per raggiungere la sede del suo principato, anche i capuani lasciarono le città per rifugiarsi nella loro città.

    Nella città, asserragliati dietro le fortificazioni, restarono parte dei tuscianensi  oltre ai salernitani nella vana speranza che i gastaldi facessero sopraggiungere contingenti di rinforzo.

    Sulle spiagge tra l’Irno e il Picentino si riversarono quasi indisturbati migliaia di saraceni sotto la guida dell’emiro Adb-Allah che divise immediatamente le truppe in tre contingenti ponendo l’assedio alla città e il quartiere generale nella chiesa dei SS Martiri Fortunato, Gaio e Ante a oriente nei pressi dell’isolotto dov’erano ormeggiate le navi (chi conosce Salerno sa che oggi non esiste nessun isolotto ma conosce Forte la Carnale a Torrione, la collinetta dove sorge la struttura a quel tempo era un isola a pochi metri dalla alla riva).

    Per diversi mesi il blocco fu serrato, mentre i saraceni si incrementavano di numero e ricevevano regolari rifornimenti, gli assedianti invece cominciavano a risentirne.

    Improvvisamente la popolazione della città gridò al miracolo, la volta della chiesa dei SS Martiri crollò travolgendo Adb-Allah, ma l’esultanza duro poco, Abd-el-Melik, braccio destro del saraceno morto assunse il comando della spedizione, il nuovo emiro agareno non era meno feroce del precedente.

    Venne deciso di affidare ad un duello l’esito della guerra, per i salernitani scese in campo Pietro cognato di Guaiferio mentre un generale saraceno era il campione avverso, la contesa avvenne davanti la chiesa dei SS Cosma e Damiano nei pressi di Porta Rotese e fu vinta da Pietro ma i saraceni non tennero fede alla parola e l’assedio riprese più cruento.

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    Gli assedianti avevano costruito nei pressi di una torre un grosso mangano col quale lanciavano enormi macigni sulle mura arrecando danni alla struttura, un guerriero salernitano, Landemario, calandosi dalle mura durante la notte, riuscì a distruggere la macchina e uccise i saraceni che la custodivano, durante la fase di rientro nella città fu intercettato da un ufficiale saraceno col quale duellò vittorioso.

    Guaiferio, nonostante gli atti di eroismo e la strenue difesa, era conscio che senza un’intervento militare esterno non avrebbe potuto mantenere per molto le porte della città chiuse, inviò il figlio Guaimario I e il cognato Pietro presso l’imperatore Ludovico il Pio a chiedere aiuto, questi invece li imprigionò e solo in secondo tempo scese in Italia ma per recarsi a Roma dal Papa.

    I mesi passavano e gli aiuti non giungevano, i salernitani si videro costretti a mangiare qualsiasi cosa fosse commestibile, cani, gatti e topi compresi ma un aiuto in questo senso riuscì a portarlo Marino, duca di Amalfi, riuscendo a rifornire la città di vettovaglie per mezzo di piccole barche che sfuggirono ai controlli saraceni.

    Il vescovo Landolfo, sapendo la città di Salerno allo stremo, cercò di correre ai ripari della sua Capua inviando un’ambasceria a Ludovico che era intanto giunto a Roma con un forte contingente, le spie comunicarono la notizia all’emiro che inviò due colonne di 10.000 soldati ognuna, una a Capua e l’altra a Benevento.

    I salernitani che erano pronti alla resa si resero conto dell’indebolimento del contingente saraceno aprirono le porte della città e si riversarono con la forza della disperazione sui nemici costringendoli a rifugiarsi sull’isolotto e anche qui vennero inseguiti e battuti.

    I superstiti lasciarono il golfo abbandonando sul campo 15.000 morti, stessa sorte la subirono gli altri due contingenti, quello diretto a Capua fu preso alle spalle e annientato dalle truppe dell’imperatore Ludovico che era accorso a difesa del vescovo Landolfo mentre quelli diretti a Benevento incrociarono le truppe di Adelchi che riuscì ad avvicinarle con uno stratagemma alquanto fantasioso.

    Il Chronicon Salernitanum ne riporta una dettagliata descrizione: “Gli Agareni erano assestati in una località chiamata Mamma. Quando i Beneventani videro gli Agareni, temendo che si dessero alla fuga, li ingannarono con uno stratagemma: tagliarono tutti i rami degli alberi e ognuno con le mani ne tenne uno dinanzi a sé, e così compatti, mossero contro gli Agareni. Quando gli Agareni li scorsero di lontano, non sapevano rendersi conto di che cosa si trattasse e alcuni dicevano << E’ la montagna!, E’ come se venisse verso di noi!>>.

    I cristiani, però, quando si furono avvicinati, improvvisamente gettarono i rami e impugnarono le armi, ma gli Agareni appena se ne avvidero, anche se atterriti, si prepararono al combattimento. I pagani, anzi, presero l’iniziativa e coraggiosamente lottarono a lungo. Infine i Franchi e i Beneventani li sconfissero decisamente, tanto che degli Agareni si salvarono pochi, che prima si rifugiarono in selve e luoghi deserti e poi, sbandati, raggiunsero Salerno”.

    Che sia o meno storico o leggendario l’evento fu ripreso dal commediografo inglese Shakespeare nel Macbeth.

    I superstiti della battaglia nel giungere a Salerno si resero conto di essere rimasti isolati e fuggirono verso la Sicilia nascondendosi nei boschi.

    Questo conflitto determinò la fine delle mire moresche sul mezzogiorno ma fu anche il termine del sogno di Ludovico I di assumere il controllo della “Longobardia Minor”, supponendo che Guaimario stremato dall’assedio non potesse opporgli resistenza e che il vescovo Landolfo fosse suo vassallo, tentò di sottomettere la città di Benevento e alle porte della città intimò alla popolazione di aprirgli gli accessi, per tutta risposta fu coperto di insulti e ingiurie dai beneventani.

    Anche Benevento era circondata di una possente muraglia estremamente difficile da superare e da un forte esercito ben motivato, l’imperatore valutò negativamente il difficile compito cosicchè non gli restò altro che girare il cavallo e tornare in Germania.

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