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Le mie montagne, selvagge e affascinanti

    Lunghe e piacevoli passeggiate sono una delle cure che i medici raccomandano affinché si migliorino le condizioni di vita di noi poveri mortali, se poi si unisce a queste un tuffo nella natura e nella storia delle nostre belle montagne si rischia solo di raggiungere l’estasi.

    Non esagero quindi a declamare le bellezze che rischiamo di incontrare quando ci si avventura sui monti che circondano la Piana del Sele, aspri al primo impatto, ma non per questo impossibili da attraversare, hanno poco a che fare con gli agevoli percorsi alpini dove i dolci declivi d’alta quota favoriscono chi li affronta.

    I nostri monti hanno dalla loro la selvaggia bellezza della natura mediterranea, strette valli scavate dall’impeto di torrenti calmi solo nelle stagioni secche quando ponendo l’orecchio si riesce a udire il dolce gorgoglio dell’acqua che scorre tra le pietre.

    Ed è proprio sul fianco del greto di questi torrenti che si snodano migliaia di sentieri segnati dal secolare passaggio di fauna quasi sempre nascosta alla vista dell’avventore ma sempre vigile ad osservare quanto ti muove intorno.

    Il silenzio che si ascolta non deve trarre in inganno, migliaia di creature viventi popolano queste valli, da quelle più comuni a quelle mitologiche protagoniste de favole e leggende sempre vive nella memoria del popolo della montagna, qui la mente si immerge con estrema facilità nel viaggio tra storia e mito, una roccia affiorante, un albero, oppure un muro di sassi di un rudere sono tra gli elementi magici di questo mondo che di volta in volta si accendono al solo sguardo.

    Nonostante il silenzio che oggi si ascolta nell’attraversare questi luoghi, devo rammentare che le fiere genti che li hanno abitati fin dalla notte dei tempi erano la spina nel fianco delle legioni romane e col passare dei secoli non è venuta a mancare la fierezza del loro animo nonostante i ripetuti cambi di signorìa, furono si vinti ma mai domati, se ne resero conto i greci, i romani, e tutti gli stranieri che seguirono, mai nessuno è riuscito a piegarli e quindi si è sempre provato a spezzare la loro resistenza.

    Un tempo queste montagne si coltivavano, si estraeva legna senza intaccare la solidità del suolo, mandrie di bovini semibradi e maiali, greggi di pecore e folti gruppi di animali selvatici operavano secondo natura alla stabilizzazione, l’uomo interveniva a canalizzare le acque e la montagna prosperava, viveva e dava da vivere.

    Certo che ancora oggi c’è chi continua a coltivare questi boschi, eroicamente devo dire, e grazie a questa gente riusciamo ancora a gustare prodotti che hanno il sapore dell’antica sapienza e della ritrovata modernità.

    Non solo l’agricoltura e la pastorizia hanno caratterizzato il passato di queste montagne, l’irruenza dei fiumi che lo solcano e la ricchezza di legna hanno permesso in un recente passato di costruire ferriere e cartiere rinomate e efficienti tali da risultare degne d’invidia in ogni valle e ora dimenticate dagli uomini e dalla storia.

    Non è mia intenzione farle rivivere, la loro collocazione risulterebbe ormai obsoleta come pure il sistema per la produzione ma è giusto sapere.

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