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Portus Alburni, il porto sul Sele

    Sono ormai diversi anni che si discute sull’utilità o meno della realizzazione di un porto fluviale da costruire alla foce del Sele, che sia esso turistico o commerciale poco importa, ma intanto resta ancora un sogno nel cassetto, eppure l’idea di un approdo navale sul Sele non è una novità dei nostri giorni.

    A pochi chilometri dalla foce del nostro fiume sorgeva un tempo la città di Paestum e oggi di essa se ne ammirano le maestose rovine, essendo una città con chiare architetture greche diventa ovvio che sia stato un punto d’approdo per navigli di vario cabotaggio, ma quello che è meno ovvio e che lungo la costa tra Paestum e Salerno esistevano diversi altri approdi ben organizzati e che oggi sono dimenticati.

    A ricordarci della presenza di questi approdi esistono svariate citazioni sin dal XX secolo e una delle fonti principali sono le pergamene conservate nella biblioteca dell’Abazia di Cava dè Tirreni, e in quelle relative al periodo normanno si legge che vengono date in fitto presso la foce del Sele nel 1105 alcune terre e in particolare un portus et vadus eiusdem fluminis, ancora nel 1137 la registrazione di un contratto di vendita tra Giovanni di Fasanella e l’abate di Cava dove il primo cede integram sextam partem de integro portu fluminis qui Siler dicitur et de pertinensis eiusdem portus … cum silvis et vacuis … ab ispo fluvio usque ad Silerem Veterem. Nello stesso anno l’Abazia acquista un altro dodicesimo del porto e inoltre si precisa che gli 8/10 dell’intera struttura è di proprietà del cenobbio.

    L’esistenza di questi contratti fa presupporre che il porto era in attività già da tempo e che, visto l’interesse dei monaci, fosse molto attivo con un discreto sistema di docs e un piccolo insediamento residenziale chiamato Mercatellum con le chiese di S. Maria e S. Nicola come riportato dal

    Particolare della carta Magini-De Rossi

    Codex Diplomaticus Cavensis nel 1020 e l’aspetto dell’area era molto diverso dall’attuale, boschi, paludi e una foce a delta dello stesso fiume con la presenza di un lago denominato Paolino o Lago Grande.

    Un dubbio attraversa le opinioni degli storici in quanto altri documenti al porto di Mercatellum affiancano un portus maris, forse un secondo approdo che arretrerebbe il Mercatellum sul corso del fiume che era navigabile vista la presenza di altri approdi minori lungo il corso d’acqua fino a giungere al Portus Alburni collocato sull’incrocio con la via Annia-Poppilia (Regio-Capuam) poco al di sopra dell’attuale ponte spagnolo sulla statale 19 dove esisteva un ponte per l’attraversamento a ben 21 chilometri dalla foce.

    [wpedon id=”8864″]La strada era ottimale per far giungere al porto le merci dal valico delle Nares Lucanie e dalle Puglie, ma i porti silariano non ospitavano solo navigli mercantili, erano anche degli ottimi approdi per le navi militari e, la presenza di rive protette da una folta vegetazione garantiva una discreta sicurezza della navigazione come descrive il geografo arabo Al-Idrisi o Edrisi nel Kitab Rugiàr o Libro del Re Ruggiero: “È fiume copioso dacqua, nel quale entrano le navi. Le sue sponde sono difese da foreste e paludi, di maniera che offre entro terra sicuro ancoraggio alle navi ed ai legni da guerra ….. Nessun assalto di nemici o di razziatori potrebbe venire dalle rive, proprio per queste caratteristiche ambientali”. Probabilmente quest’immagine del fiume è di molto antecedente al XII secolo perché a quell’epoca il letto del fiume da semplice strada fluviale divenne un’autostrada per il gran numero di navigli che lo percorrevano.

    Un piccolo salto nel tempo e i Registri Angioini tra il 1290 e il 1345 evidenziano che sia il porto del Sele che quello di Agropoli seguono per importanza quello di Salerno nonostante i danni subiti da Mercatellum dalla guerra del Vespro.

    Nel 1385 il papa Urbano VI sfugge con un ricco tesoro dall’assedio di Nocera approntato dal re di Napoli Carlo III di Durazzo e nel corso della rotta (verso sud) s’imbarca su galee genovesi dal porto fluviale cedendo come contropartita gli ori che aveva salvato, l’episodio viene registrato da Teodorico di Niem suo segretario nel De Schismate (quod sibi per mare cum decem galeis armatis certo termino occurreret in castro fluviarii ultra Salernum), l’unico dubbio è sulla presenza di un castro fluviari, una fortezza, ma probabilmente indicava semplicemente il punto d’imbarco protetto.

    Ancora un salto temporale ci fa giungere al 1469 e ad una lettera del re Ferdinando che stabilisce una gabella in Capaccia … di gr doje per tumolo de victuaglie quale s’extraheano da lo porto de Vesti o d’altra parte de ditta marina per infra Regno, praticamente per navi che potevano caricare 30 o 40 tonnellate di derrate.

    Il viaggio lungo le linee del tempo di fanno giungere alla metà del 600 dove i notai di Eboli registrano movimenti di commercio di legnami proveniente dalle aree interne e trasportate a mezzo di chiatte chiamate “sandali” fino ai porti della laguna di Campolongo e di Torre di Paestum per il trasbordo su navi d’altura, questa segnalazione potrebbe segnalare il decadimento di Mercatellum ma non il calo del commercio lungo il fiume.

    Ma, mentre a Torre di Paestum si trasbordano i legnami, l’architetto Pietrantonio Lettieri nel 1560 commenta: “Lo semele è intervenuto ala città de Pesti quale in tempo de romani fò in sue conditione; et Marco Tullio nce volse havere un suo podere, dove io ce ho visto uno arcotrave de pietra tiburtina dove erano intagliate lett. grandi … Et se ne celebrano le rose pestane, et in mare havea il suo molo; et al presente è città dishabitata…”.

    La domanda che al termine ci poniamo è quindi: “Rivedremo un giorno banchine d’approdo alla foce del Fiume Sele?

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