Skip to content

Salerno tra papato e Impero

    Sull’Appennino emiliano si ergeva al tempo della lotta tra papato e Impero una fortezza al cui governo v’era una donna, Matilde di Canossa, una signoria feudale così potente da frapporsi nella lotta tra papato e Impero senza subirne le conseguenze.

    Almeno è quello che ricordano i testi di storia che invece tacciono su quanto avvenne nelle regioni a sud del Tronto.

    Eppure in queste regioni, un manipolo di guerrieri nordici dapprima conquistò i potenti principati longobardi di Capua, Benevento e Salerno che già da soli coprivano buana parte del territorio, e poi inglobarono l’Apulia, Napoli, la Calabria che erano sotto l’influenza bizantina e poi la Sicilia araba.

    All’interno di questo scenario era già fiorente una potente signoria feudale instaurata dalla Chiesa salernitana che aveva acquisito, mediante lasciti o compravendite, grandi territori nell’anfiteatro pianeggiante a oriente della città fino al casale dei Cosentini oltre le Nares Lucaniae.

    L’elencazione dei beni della Cattedra salernitana inglobava altri feudi, chiese e monasteri in tutto il territorio del principato oltre all’avere il controllo su altre strutture ecclesiastiche e vescovadi.

    La costituzione di questa signoria feudale si ebbe a partire dai primi anni successivi alla formazione dei principati longobardo grazie all’ordinamento creato dai principi per il controllo del territorio e nondimeno si era affrettata ad armare le fortificazioni tra la media valle del Sele e il Picentino per la protezione dei possedimenti sottostanti.

    Nella seconda metà del X secolo la Chiesa salernitana venne elevata al rango di Arcivescovado e, gli ultimi principi longobardi patentarono i possessi ecclesiastici in modo univoco, affinché non vi fossero ravvedimenti regali, lo stesso fecero i normanni in varie altre occasioni.

    Tutte queste acquisizioni e conferme fecero si che l’arcivescovo di Salerno fosse uno dei più potenti feudatari del XIII secolo e la città stessa deteneva un’enorme prestigio essendo seconda solo Palermo sia per grandezza che per attività politica.

    Ma l’elezione dell’ultimo degli Altavilla, Tancredi, alla guida del regno per contrastare l’avvento dei germanici la vide per oltre un cinquantennio al centro delle lotte con il Sacro Romano Impero e a volte contro lo stesso soglio pontificio per mantenere quanto era in suo possesso.

    Tutto iniziò con la morte di Guglielmo II che aveva designato sua erede Costanza andata in moglie a Enrico VI, i notabili del regno elessero al trono Tancredi di Lecce.

    Enrico non si fece attendere e scese nelle Sicilie per prendere possesso del regno giungendo fino a Napoli, qui l’arcivescovo Nicolò D’Aiello aveva assunto la difesa della città fortificata facendo infrangere il sogno germanico, Enrico ritirando ignominiosamente non riuscì a portare con se la moglie che restò prigioniera a Salerno prima di essere condotta in Sicilia.

    Al ritorno dell’orda germanica fu Salerno una delle poche città che cercarono di opporsi al re tedesco che la sottopose quindi ad una massiccia opera di distruzione anche per punirla per aver inferto alla sua consorte la prigionia.

    La feroce azione di Enrico sembrava tesa allo sterminio dei normanni del regno e quelli che non vennero trucidati erano destinati all’accecamento o alla prigionia in Germania come l’arcivescovo di Salerno e la regina Sibilla (moglie del defunto Tancredi).

    La morte fece giustizia delle prepotenze del re, Enrico meno di due anni dopo muore in Sicilia il 27 settembre del 1197 e la consorte Costanza lo seguì un paio d’anni dopo mentre reggeva il trono a nome del figlioletto Federico, essa cercò di riparare i danni apportati dal marito al reame dimenticando però i prigionieri in Germania.

    A tale scopo intervenne Innocenzo III nel febbraio del 1198 che ordinò a prelati tedeschi di intercedere presso Filippo di Svevia quod per ipsius stuclium. Salernitanus archiepiscopus de longaevae detentionis er gastulis liberetur minacciando la scomunica se la regina Sibilla e i suoi figli non fossero stati liberati, lo stesso valeva per Niccolò D’Aiello, arcivescovo di Salerno che negli anni successivi si prodigò alla ricostruzione della città e rassodare i possedimenti della sua Chiesa ottenendo dal papa nel 1207 la riconferma dei diritti e dei privilegi.

    Nel 1215 Federico era in Germania per consolidare il ruolo di Imperatore e aveva lasciato il regno in reggenza alla moglie Costanza, D’Aiello ne colse l’occasione per cercare di dare alla Chiesa salernitana l’intero controllo dei territori che da Sicignano e Casale Cosentino giungevano fino al confine della città di Salerno.

    L’operazione non riuscì in quanto gli ebolitani, non avendo intenzione di passare dal regio demanio alla potestà baronale, inviarono un’ambasceria in Germania per contrastare il decreto firmato dalla regina.

    Federico ricevette l’ambasceria a Francoforte e emanò il decreto che confermava Eboli nel regio demanio, è probabile che del seguito dell’ambasceria facesse parte anche il poeta Pietro da Eboli, ma di questo non c’è conferma, la cosa insolita del decreto stesso è la lunga e altorisonante lista di testimoni presenti alla stesusa come gli arcivescovi di Colonia, Treviri e Worms, Eboli divenne a tutti gli effetti domus domini imperatoris, elevata quindi a dimora dell’Imperatore e quindi intoccabile.

    L’anno successivo però, per ingraziarsi il soglio pontificio, decreta che la Chiesa salernitana assuma il privilegio di giustiziere nelle sue terre con facoltà di affido a terzi di tale compito e nel febbraio 1221 con un altro decreto confermava tutti i diritti dell’arcivescovado aggiungendo inoltre di assumerne anche il velo protettivo senza intaccare però lo status di Eboli.

    [wpedon id=”8864″ align=”left”]Intanto i rapporti tra il papa e l’imperatore andavano raggelandosi e, la morte di Niccolò D’Aiello richiedeva la nomina di un successore al seggio di Salerno. Il papa, Onorio III, intendeva usare le vecchie norme per insignire il successore ma l’imperatore aveva intenzione di poter apporre il veto su un’eventuale nomina a lui sgradita. Onorio ne resta indignato e scrisse all’imperatore muovendo lagnanze quod ad electiones ecolesiarum in regno eius vacantium manus extenderit avvertendolo di desistere senza però ottenere lo scopo.

    Altre doglianze pervennero all’Imperatore il 27 giugno del 1223 perché questi aveva minacciato di non far entrare a Capua, Salerno e Aversa i nuovi vescovi che, solo ne 1226 riuscirono a sedersi nelle loro sedi dopo che Federico allentò la morsa per diminuire l’impatto che nelle aree settentrionali d’Italia si stava esercitando.

    Fu così che Cesario D’Alagno prese possesso della diocesi di Salerno ma i problemi per L’arcivescovo non erano finiti, l’Imperatore appena concluse la sua avventura in Terra Santa diede al regno un status amministrativo completamente diverso da quello esistente, la creazione del moderno Stato con una burocrazia laica e assolutista era teso a ribaltare il mondo feudale che precedentemente governava il territorio, si poneva il re/imperatore sul vertice della piramide mentre con gli uffici si demandavano i poteri fino al più basso livello organizzativo. Tutte le norme feudali preesistenti vennero annullate e le conseguenze si ripercossero anche nella Curia salernitana.

    Quasi tutti i possedimenti ecclesiastici nel salernitano vennero requisiti e dati in affido in nome e per conto dell’Imperatore a tedeschi.

    Si intraprese quindi una lotta senza quartiere tra i papato e l’Impero che mandò in rovina l’impero universale ideato dagli imperatori tedeschi e quasi attuato dagli svevi ma nello stesso tempo diede un colpo grave al dominio universale del papato.

    Il 20 marzo del 1239 due avvenimenti diedero fuoco ad una miccia che fece esplodere la violenza tra le due fazioni, il rimo fu la dipartita di Ermanno di Salza a Salerno, egli nel ruolo di Gran Maestro dell’Ordine Teutonico aveva impedito la rottura tra papato e impero, il secondo fu la scomunica che papa Gregorio IX lanciò alla volta di Federico II.

    Tra gli avvenimenti tra gli opposti schieramenti si ricorda la feroce repressione federiciana operata nei confronti dei baroni a Capaccio e Sala.

    Il papa, rifugiatosi a Lione, emanava continui anatemi contro l’imperatore e i vescovi ribelli, pare infatti che sia l’arcivescovo di Palermo che quello di Salerno ne furono colpiti senza peraltro perdere la cattedra.

    Le continue dichiarazioni di subordine al papato enunciate da Federico II non sembravano essere coerenti con il suo comportamento, un’esempio è l’intromissione nell’elezione della badessa del convento di S.Giorgio a Salerno, la procedura insolita utilizzata dalle suore fece si che l’intero convento venisse coperto da scomunica, l’imperatore ordinò che questa venisse tolta in aperta discordanza con le disposizioni ecclesiastiche.

    L’interesse dell’Imperatore per i tenimenti della Mensa salernitana si manifestava col continuo rifiuto di restituzione dei castelli di Olevano e Battipaglia tenuti dai tedeschi (Battipaglia era inizialmente nelle mani del suo protettore, Marcovaldo d’Aveiller, che l’utilizzava nei rari momenti di riposo).

    Sia Battipaglia che Olevano erano comunque considerati come appartenenti alla Chiesa salernitana ma Federico non intendeva restituirli perché “occupati per la malizia dei tempi”.

    Come per suo padre anche Federico vide infrangersi il sogno il 19 dicembre 1250 a Ferentino di Capitanata quando poco più che cinquantenne lasciò questo mondo, il papa, alla notizia della morte dell’imperatore lasciò Lione per far ritorno in Italia e Napoli in particolare, lungo il percorso inviò diverse missive a vescovi e baroni del regno per annunciare gli intenti e in particolar modo all’arcivescovo di Salerno al quale concesse il perdono perché concepì l’idea che il prelato avesse avuto quel comportamento a causa della presenza costante dell’imperatore.

    Gli eventi successivi che videro prima Corrado e poi Manfredi alla guida del regno designarono la definitiva rovina della casata sveva e l’avento degli angioini sul trono di Sicilia.

    Dal canto suo, l’arcivescovo di Salerno, iniziò immediatamente al riassetto dei domini senza aspettare il giungere del papa, fece si che venisse immediatamente trascritto il testamento di Federico alla presenza di validi testimoni e lo lesse nel Duomo cittadino durante la cerimonia in suffragio del defunto.

    Il testamento comprendeva la restituzione dei beni espropriati alla Curia, non si ebbero eccessive difficoltà per i borghi non fortificati, per Olevano invece si dovettero sborsare 250 once d’oro al gastaldo Menagoldo che ne deteneva le chiavi rilasciate solo nel 1255, Battipaglia ebbe sorte diversa.

    Il Castelluccio era affidato al governatore Alberto De Regio e per riacquistarlo l’arcivescovo riunì a Castel Terracena un consiglio composto dai giudici della città, notaio e nobili, vennero esaminati i diritti dell’arcivescovo sul castello, il casale, la cappella, edifici e tenute agricole annesse.

    La Curia dopo aver esaminato la documentazione si riconobbe la proprietà arcivescovile dell’area e il marchese di Hohemburg, esecutore testamentario, affermando la legittimità della richiesta, comandò la restituzione del Castelluccio dietro un compenso di 50 libbre d’oro pagato come per Olevano con il contributo del papa.

    Il mandato esecutivo venne affidato a Matteo De Simone, un notaio del tenimento di Montecorvino che lo eseguì nello stesso mese, egli venne accolto da De Regio alle porte del castello e gli vennero consegnate le chiavi, al De Simone non vennero però presentati i capi famiglia del villaggio i quali si erano nascosti nelle grotte della collina con le famiglie nel timore di una rappresaglia.

    Avutane l’assicurazione che non vi sarebbero state repressioni, i pater-familias della Castelluccia si recarono alla presenza di De Simone per prestare giuramento di vassallaggio all’arcivescovo.

    Il luglio seguente Manfredi confermò la restituzione dei castelli tuscianensi alla Chiesa salernitana.

    Con quest’ultimi avvenimenti chiudono il periodo di agitazioni che ebbe inizio col matrimonio dell’ultima degli Altavilla, Costanza, con Enrico IV di Svevia, l’intera epopea circondò di un’alone di gloria il nome di Federico II ma l’intero regno siciliano ebbe a subire miserie e rovine con il conseguente annullamento del benessere apportato alle genti dalla precedente dinastia, gli Hauteville o Altavilla.

    La Chiesa salernitana nei periodi successivi perderà progressivamente importanza, l’intero regno, a partire dalla nuova dinastia, gli angioini, inizierà un progressivo decadimento fino al sopraggiungere di un giovane principe che prenderà le rendini di un regno ormai allo stremo per farlo risorgere in potenza e importanza, il suo nome era Carlo di Borbone.

    / 5
    Grazie per aver votato!

    Lascia un commento

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

    Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

    error: Content is protected !!