Skip to content

San Mattia al Tusciano

    Seminascosto nelle campagne tra Battipaglia e Spineta s’erge in completo abbandono l’intero complesso abbaziale di San Mattia, nella cittadina silariana tutti ne conoscono l’ubicazione ma come spesso accade le si nota in posizione avaloniana, quasi un miraggio.

    Eppure tra quelle mura ormai diroccate si sono consumate intere generazioni di vite monastiche rurali ultimo baluardo della degenerazione ambientale dell’intera piana.

    Nei secoli bui direbbe qualcuno ma tali non erano per la vitalità delle opere umane si menziona l’esistenza di un istituto monastico domenicano fondato da Guidobaldo col beneplacido consenso del Principe salernitano Grimoaldo fondi rurali nella piana del Tusciano, ebolitana e metelliana nel 795, venne eretta quindi una struttura religiosa secondaria nei pressi del Tusciano e solo tra il 1027 e il 1052 il principe Guaimario V eresse la chiesa di San Mattia eleggendo la comunità monastica ad abazia (“Longobardorum et Salerni Princeps duxque Amalphiae et Surrenti, sub titolo Abbatiae”) e affidandola alle cure spirituali di Mirando (“Mirando, abate di S. Mattia de loco Tusciano concede una terra a Concilio, diacono, figlio di Alechisio“). Da una pergamena conservata nell’abazia metelliana la struttura tuscianense venne donata a San Pietro Pappacarbone, abate di Cava nel 1089 dal figlio di Roberto il Guiscardo, il duca Ruggiero Borsa (“Concedimus in eodem monasterio de rebus nostre reipubice pertinentibus foris hanc civitatem in loco tusciano ultra fluviam“).

    Tale donazione venne confermata successivamente dai pontefici e nel 1221 anche da Federico II.

    Come da prassi ormai assodata nell’Alto Medioevo, intorno all’abazia venne a costituirsi un discreto centro abitato che assunse la denominazione di Castrum S. Matthiae de Tusciano in pertinentiis Ebuli et Montis Corbini.

    Da Abazia la struttura divenne poi Priorato e poi Prepositura ma sempre alle dirette dipendenze della Badia de la Cava con una consistenza numerica variabile tra gli 8 e i 10 monaci guidati da un Priore.

    Sulle rive del Tusciano e del Sele è accertata inoltre la presenza di alcuni mulini che il Conte Guglielmo del Principato nel 1127 affida dopo una controversia all’Abbazia di S.Mattia e l’anno successivo dona all’abate Simeone terreni e la gestione dei traffici portuali degli approdi lungo il Sele e il Tusciano.

    L’Abbazia di San Mattia al Tusciano nei secoli successivi acquisì enormi poteri temporali nella piana, tra il XII e il XIII secolo vengono acquistati o donati 851 tomoli di terreno (circa 3.400.000 mq), nel 1141 riceve in dono da Berardo da Eboli un appezzamento a Fiorignano e un paio d’anni dopo vengono acquistati nella stessa località altri due appezzamenti da Roberto Bocci, nel 1176 un altro appezzamento nel casale Tusciano (Battipaglia), nel 1181 ottiene un lascito in località Castelluccio (di Battipaglia) e nel 1183 a Fasanara acquista un terreno da Sichelgaita, figlia di Raone.

    I coloni che abitano il castrum non sono da meno, acquisti e vendite di terreni sono documentate testimoniando quindi una discreta vivacità della vita del borgo.

    La struttura nel frattempo si era ampliata, nel 1490 al monastero risultano in locazione 933 tomoli a frumento e 470 ad orzo, nel frattempo però gli Angioini, subentrati alla dinastia sveva, assunsero il controllo dei terreni ma il 1266 re Carlo restituisce all’abate Giacomo tutte le terre e il controllo sugli uomini che le abitano.

    Verso la fine del 1502 fu distrutto a causa del violento scontro tra Ferdinando il Cattolico e Luigi XII d’Orleans (da notare la partecipazione di Ettore Fieramosca, l’eroe della disfida di Barletta, conte di Capua, Miglionico e Aquara).

    L’intero complesso abaziale venne ricostruito fino ad assumere l’aspetto col quale nel 1866 fu soppresso ma non ebbe più l’importanza assunta e divenne una semplice grancia alle dipendenze di Cava mentre i coloni ripresero a coltivare i terreni, allevare animali e produrre formaggi.

    I beni del monastero di ridussero a 470 ettari nel 1709 con 2400 ovini, 60 cavalli, 150 vacche e 62 buoi mentre l’intero fabbricato, oltre alla chiesa e al granaio consta di poche camere.

    [wpedon id=”8864″ align=”left”]

    La rendita calcolata in 1550 ducati nel 1724, sale a 2374 nel 1240 non è più gestibile dal clero e viene affidato alle cure contabili della Badia di Cava.

    La Cappella di San Mattia nel 1852 risulterà di proprietà del barone Bellelli fino alla chiusura che come avevo predetto avvenne nel 1866 e i beni incamerati dallo Stato in base alle leggi eversive.

    A vederla oggi S.Mattia è inglobata in un’azienda agricola privata e quindi non visitabile ma le vestigie del passato s’ergono in attesa di una rinascita che stenta ad arrivare.

    / 5
    Grazie per aver votato!

    Lascia un commento

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

    Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

    error: Content is protected !!