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Sant’Arcangelo sul Tusciano

    Dalle parti di Capua, li dove passa la Via Appia che congiungeva la caput mundi Roma con il porto di Brindisi venne diramato un braccio viario che attraversando la penisola a ridosso dell’Appennino arrivava fino a Reggio, è la Via Annia-Popilia, una strada nate per esigenze militari ma largamente usufruita da tutte le popolazioni dei territori che attraversava.

    Tratti di questa strada sono ancora visibili, altri invece sono completamente scomparsi, vuoi dall’inutilizzo, vuoi dall’abuso e dall’incuria di tante amministrazioni civiche.

    Insomma la Via Annia da Capua raggiungeva Salerno entrando da Porta Nuceria e attraversando il foro riusciva dalla Porta Elina lambendo poi le colline della Piana del Sele per immergersi nella Lucania attraverso le Nares, ovvero il Passo di Scorzo sulla dorsale nord-occidentale dei Monti Alburni.

    Sul percorso da Salerno alla Lucania incontrava due grossi ostacoli nella pianura silariana, il maggiore era il fiume Silarus o Sele , confine naturale dell’ampia regione chiamata Lucania, su cui venne costruito un ponte appena più a monte di quello attuale (e un porto fluviale, leggi Il porto sul fiume) e l’altro era il Fiume Tusciano ed anche in questo caso la posizione del transito era leggermente più a monte di quello attuale.

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    Come di solito avveniva nell’antichità in prossimità dei punti di attraversamento fluviali, vuoi per esigenze commerciali, vuoi per comodità dei collegamenti, si insediavano dei volghi e delle locande che fungevano da stazioni di transito.

    Uno di questi volghi, ora scomparso, era conosciuto col nome di Sant’Arcangelo perchè in quel luogo venne fondato un monastero intitolato appunto a Sant’Arcangelo con un certo numero di abitazioni rurali

    Che il volgo sia scomparso con la caduta in disuso della strada non ha rilevanza se non per il fatto che è, unitamente al volgo di Battipaglia posto sulla collina, Ponte Tusciano con il quale confinava, San Mattia, Santa Lucia, Sciumillo e Crypta Maris e Santa Cecilia costituiva l’area amministrativa longobarda che i salernitani chiamavano Tusciania (o Locus Tusciani) e tuscianensi gli abitanti.

    In pratica, a parte Santa Cecilia, stiamo parlando di uno dei villaggi (o casali) che erano la base fondante di quella che poi sarebbe diventata la città di Battipaglia.

    L’esistenza del villaggio di Sant’Arcangelo è testimoniata dalle note sulla presenza di un’antica chiesa ricordata fin dal X secolo nelle pertinenze della badia di Cava (un documento del 1095 ricorda la posizione del podere all’interno del quale è eretta la chiesa) e fu il duca Ruggiero Borsa, figlio del normanno Roberto il Guiscardo e della principessa longobarda Sichegaita, ad offrire alla badia de la Cava il cui abate era Pietro, tra le altre cose tre terreni in una località del Tusciano nei pressi della Chiesa di Sant’Arcangelo, una di queste era costituita da piante a fusto e di un’area a vacuo con una taverna.

    La chiesa era stata donata (per metà a dire il vero) qualche anno prima, nel 1082, dalla contessa Emma De Ala al monastero di Cava mentre solo nel 1089 la predetta badia riceve la proprietà esclusiva della chiesa di Sant’Arcangelo.

    Una successiva testimonianza, del 1161 stavolta, assegna nuovi terreni della località Anania del casale Tusciano al cenobio di Sant’Arcangelo come dono di Goffredo, un abitante del Vicus Tusciano gravemente ammalato come obolo per la sua salvezza eterna.

    Un’indicazione più precisa sulla locazione ci viene fornita da un’altro documento che nel 1231 afferma che i tuscianensi erano oltre agli abitanti di Battipaglia e San Mattia gli stessi hominen Pontis Tussani sulla Via Annia in prossimità del monastero di Sant’Arcangelo.

    Sono piccoli frammenti di storia, quisquiglie nello svolgere della tela del passato ma rivestono tasselli di quella memoria spesso dimenticati o ignorati che invece sono fondamentali per una città come Battipaglia che continua a cercare una sua identità per meglio proiettarsi verso il futuro.

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